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Oggi vi portiamo a Betlemme, a scoprire insieme la Grotta del Latte

Se sei capace, sapendo la strada, di passare per il convento dei monaci ortodossi, bastano appena due minuti per raggiungere un altro santaurio di Betlemme, poco conosciuto, ma che la devozione popolare e la preghiera di generazioni ne hanno fatto un luogo di prodigi e di mistero: la Grotta del Latte. Seppur tardiva, la tradizione vuole che in questo luogo, o prima della fuga per l’Egitto o anche al suo rientro, la santa Famiglia abbia dimorato per un breve spazio di tempo.

Questo avvenimento non basta, ma il semplice ed accogliente luogo ricorda altresě che una stilla del latte che, dal seno di Maria, allattava il Bambino nato, abbia avuto la ventura di santificare il luogo facendolo divenire di color ‘latte’ nei suoi reconditi spazi. Ci troviamo dinanzi ad un insieme di grotte che, non ci vuole la laurea in geologia per comprenderlo, fanno parte di tutto un complesso che sottosta all’attuale Betlemme e che era la periferia sud del piccolo borgo del tempo di Erode il Grande. Grotte abitate, come era normale in quei tempi, da semplici e poveri; grotte rifugio, di animali e alimenti, grotte riparo da intemperie e strali celesti. Al luogo venerato si accede da uno splendido porticato di pietra intarsiata, artigianato locale dei primi decenni del secolo scorso, con tondi raffiguranti il sonno di Giuseppe dinanzi alla fuga in Egitto imminente, ed ancora la santa Famiglia che cavalca l’asino, fatidico animale in questi luoghi, che porta fuori tiro i Santi protagonisti dalle furiose invettive del Re adirato per la nascita del Re dei Re. Entrando al santaurio, sormontato oggi da una porta in bronzo con motivi mariani, si accede per una lunga scalinata alla grotta sottostante, o meglio ad un insieme di grotte egregiamente, e da pochi anni, restaurate, dagli archeologi della scuola di Archeologia dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, prestigosa istituzione dell’Ordine dei Frati Minori, che da decenni, ormai, con competenza e passione, con sacrificio ed intuizione, scava, restaura, scopre mille siti archelogici. Certo adesso, con la costituzione politica della regione, le cose non sono cosě semplici come negli anni 20 o 30 del secolo scorso, ma comunque il prestigio riconosciuto e le competenze acquisite certamente ne avallano ancora tutt’oggi l’indole francescana di attenti e competenti studiosi.

In uno slargo, adibito a chiesa dove sull’altare si venera una effige in legno, di secoli indietro, raffigurante Maria che allatta il Bambino; sulla destra di chi guarda, tra vetuste componeti arichitettoniche di diversa fattura e provenienza, un anfratto, sempre nella roccia, che ti pone con in un incavo a cui accedi per gradini quasi naturali dove viene ricordata alla devozione popolare un quadro della Madonna del Latte – appunto che allatta – quella che nella denominzaione francescana viene denominata santa Maria di Gesů, che č particolarmente venerata dalle donne puerpere in attesa, o da chi, sventurosamente non puň aver figli e si rivolge alla Vergine per una sguardo di grazia. Testimoniano le cronache di questi decenni a venire che numerossimi miracoli ha fatto questa polvere della grotta, che accolta con fede nella casa dei richiedenti porta a felice esito gravidanze impossibili ed apre alla vita grembi infecondi. La dettagliata documentazione dei frati che custodiscono il Santaurio non solo ne č riprova ma diviene reale modalitŕ per aprire il cuore grato al Signore che opera prodigi, ieri, oggi e sempre. Si parlava di restauri e quelli compiuti, proprio qualche anno fa, hanno ridato alla luce ulteriori luoghi di un monastero bizantino del sesto secolo che giŕ si sapeva essere sopra la stessa grotta venerata, come altresě altri spazi antichi significativi. L’antico si fonda col moderno e se il genio di chi costruisce sa trarre la bellezza diviene assicurazione di spazi e luoghi che incantano. Cio č avvenuto, come si diceva, nell’ultimo restauro che č stato portato a termine in vista della costruzione di una cappella, molto piů capiente della chiesa-grotta, che č stata benedetta nel gennaio del 2007 ed intitolata alla Madre di Dio. Grazie a benefattori di diverse parti del mondo, la nuova chiesa č stata legata alla costruzione primitiva ed, al piccolo conventino giŕ esistente, č stato annesso un monastero, per la capienza di una dozzina di religiose che da quel dě abitano il luogo. Si tratta di contemplative: monache sacramentine che giorno e notte elevano il loro canto e la loro silente preghiera di adorazione da questo luogo cosě significativo.
Il titolo di Maria Madre di Dio pone, nell’ottava del santo Natale, in festa questo piccolo santuario, ricordando da una parte la materinitŕ di Maria e dall’altra la divinitŕ del Figlio che la ‘fŕ’ madre di Dio. Chi viene in questo luogo non puň che pensare al dono della vita come inestinabile dono che ci appartiene. Ci siamo perchč qualcuno ha deciso che ci fossimo, e ciň evidenzia la sacralitŕ stessa dell’esistenza contro la leggerezza di eliminarla, dall’inzio al suo termine naturale, non dico con facilitŕ e non curanza sarebbe proprio un controsenso ed una bestialitŕ, ma per motivi, i piů vari: la vita intesa come tale, vita, vivente, cuore che batte, deve essere il valore dei valori che sempre deve essere salvaguardata e salvaguardarsi. La Chiesa, ricordiamolo bene, non si accanisce contro l’aborto o l’eutanasia, non č ‘accanimento terapeutico’, per riprendere la comprensibile via da non seguire perché una vita si tenga in vita appunto, ma č la sua missione, quella, cioč, di annunziare la vita, il vangelo della vita: missione che gli appartiene e gli č congeniale, visto che Gesů č via, veritŕ e vita. Un luogo come questo lo ricorda con disarmante veritŕ, una veritŕ che piů che porsi ‘contro’ dovrebbe, sempre e comunque, porsi ‘a favore’. Ce lo auguriamo, per tutte le mamme del mondo, per tutti i bambini non nati e che volevano nascere, e per i tanti che si desiderano e che, nonostante tutto, non possono nascere. La preghiera sgorga spontanea dal cuore, e va dal cuore alla mente, ricordandoci la nostra infanzia, quella dei nostri cari, quella dei nostri figli, quella di tanti bambini che abbiamo occasione ancora, per grazia di Dio, di incontrare e conoscere. Grazie Signore per il dono della vita! Come un ininterrotta preghiera che accompagna la vita della santa Famiglia nella fiducia che č fede che nulla č a Dio impossibile, schiere di vergini si avvicendano nell’orazione per i bisogni di questa umanitŕ esausta che č il mondo intero, e che, specie in questa terra benedetta e martoriata consta della necessitŕ di un grido continuo verso gli orecchi di Dio, per la pace e l’armonia dei popoli e delle genti che vi abitano.

Una significativa immagine del chiostro di san Girolamo
dinanzi alla Chiesa di santa Caterina
– Betlemme –

Seppur in modo decisamente minore anche qui l’affluenza dei pellegirni non manca, e specie, per i motivi di cui sopra, la preghieria si fa certezza di essere esaudita se rivolta all’Onnipotente con quella fede semplice e devota, che non puň che bucare le nubi del cielo. Ma significativamente, questo luogo, che si trova a ridosso del cimitero latino di Betlmme e che custodisce quei morti che sono intercessori perenni se vivono nella comunione dei santi, proprio in questo luogo assistiamo a dei miracoli impensati; alle flotte di pellegrini si unsicono numerose famiglie musulmane che si rivolgono a Maria per impetrare interventi divini, o per gravidanze non avute o per sereni parti dovuti. Soltanto questo, in un tempo di contraddizioni e di barriere preconcette e fondamentaliste, diviene segno di un bisogno di comunione, di conoscenza, di andare insieme verso Dio, che unisce anche le religoni, e, in questo caso, nel nome di Maria, la vergine che allatta il Bambino Gesů. Il canto delle calustrali affascina chiunque ha occasione di ascoltarlo, e la preghieria apre il cuore anche dei piů increduli o reittosi; ci si trova in un luogo santo che la tradizione popolare ha posto come chiaro esempio di una fede semplice che cura i cuori e sana le menti. Abbiamo bisogno di questa semplicitŕ che, seppur la presenza francescana attesta, deve poter divenire patrimonio della cristianitŕ, per far incontrare i lontani con i vicini, ed aprire le porte serrate dall’egoismo e dall’odio. Queste Grotte ne ricordano altre che sono proprio addossate alla Grotta della Nativitŕ, che nello spazio latino adiacente alla chiesa parrochiale di santa Caterina d’Alessandria, vengono denominate in modo diverso alla luce degli eventi del vangelo e della storia che ricordano: grotta di san Giuseppe, dei santi innocenti, di san Girolamo, di sant’Eusebio… Un mondo sommerso, potremmo chiamarlo dove si percepisce qualcosa di misterioso, ma dopo tutto chiaramente esposto, che ricorda la vita dei secoli passati e la certa presenza, di vivi o di morti, in questi anfratti di roccia. Proprio al di sopra di queste grotte fin dai primi secoli monasteri e chiostri si sono avvicendati, dove, avendo come fattivo esempio il luogo sacro della nascita del Salvatore, ci si č protratti in una vita di silenzio, preghiera, studio, sacrificio ed offerta. Ancora oggi il bel chiostro, cosidetto di san Girolamo, che fa da corona alla chiesa parrochiale latina di santa Caterina, ne diviene splendido esempio nonostante il passare dei secoli. Maria Giuseppe e il Bambino dimorano in questi luoghi, sono ‘abitatori’ di grotte, si pongono, come la povera gente di allora, nella semplicitŕ del loro rango che nasconde il fulgore della divinitŕ nella fragilitŕ di un Bambino e richiama a quell’essenzialitŕ che, pur nascondendo la regalitŕ di Cristo, annunzia al mondo la kenosis del salvatore. Sono passati duemila anni, ma se noi leggiamo il vangelo, come una stranezza che non puň che essere la stranezza di Dio, di Betlemme, del luogo della nascita del Figlio di Dio, dei posti della sua permanenza e della sua manifestazione al popolo eletto e al mondo intero… di questi luoghi cosě significativi… non se ne parla assolutamente piů. Dopo la nascita di Gesů Betlemme scompare, il Messia, da quello che dicono i Vangeli, non arriverŕ piů a metterci piede spostando la sua cittŕ di orgine a Nazaret – puň mai venire nulla di buono da Nazaret? si interrogava Nicodemo; lo chiamavano il Nazareno – diversamente, invece, da Betelmme, cittŕ storica della Giudea, patria di David, luogo dell’incontro della Moabita Rut con Boaz, luogo della nascita del Messia atteso, luogo in cui si compie per la storia, come un breach che si pone nei ricordi antichi e nei canti dei padri, rimane il mistero di una geografia che conoscono solo in pochi. Eppure a Betlemme, dove non si accannisce la cattiveria distruttiva dei barbari anche se per puro caso, come potrŕ essere un mosaico con magi in vesti persiane che salva dalla distruzione la Basilica costantinopolitna – ma ben sappiamo che il caso č da dedurre per altri scopi e che la fede scrive la sua storia come testimonianza dell’amore stesso di Dio… – proprio a Betlemme abbiamo invece una tra le piů antiche prove sicure, nella Basilica cristiana, che vi č in Terra Santa, e, con amore e cura, ritroviamo custodire rocce e grotte che danno il senso della reale esperienza che fece il Figlio di Dio venendo nel mondo. Luoghi come la Grotta del Latte diventano vere oasi di preghiera nel deserto, anche per i frettolosi pellegrinaggi, che vi si affacciano. Oasi di silenzio, oasi di contemplazione, oasi di ristoro nello spirito; vi consiglio di sostare in questo luogo se venite pellegrini a Betlemme, specie se siete fuori i circuiti delle organizzazioni che mantengono, come č ovvio, tempi stretti e limitati. Il poter avere la gioia di conoscere che proprio qui a Betlemme vi sono delle contemplative che pregano per tutti noi, ed in un luogo cosě significativo, diviene retaggio per aprire il cuore alla speranza e non sentirsi solamente carichi di problemi, ma saper cogliere la dimensione della fede in Gesů Signore come quella risposta opportuna da dare costantemente, e da rinnovare anche con esperienze forti ed intense, come potrebbe essere un momento prolungato di silenzio e di adorazione nell’accogliente cripta della nuova chiesa che custodosce il coro delle monache e il luogo della loro preghiera liturgica e di adorazione. Non abbiamo paura di fermarci, di porci nell’attegiamento di ascolto.






Maria e Giuseppe ce lo testimoniano: l’una seppe fare dell’assoclto della Parola di Dio la sua stessa vita che la aprě al volere del Signore con quella disponibiltiŕ che l’Evaneglo ci narra; l’altro, come discendente di Davide, che dona a Gesů stesso questa prerogativa, da giusto com’era si pone nel silenzio del pensiero che si apre all’intervento di Dio – come č testimoniato nell’Evangelo di Matteo a proposito dei reiterati ‘sogni’ di Giuseppe legati alle scelte che dovrŕ fare, per se e per tutta la santa Famiglia – e che testimonia quella attenzione all’operato del Signore che necessita, anche qui, di attento ascolto e di azione pronta e generosa. Non avendolo mai sperimentato possiamo solo immaginarlo, ma di certo il decidere di andare in Egitto, lontano dalla propria cittŕ di origine, lontano dalle sicurrezze acquisite, pone, tutta la santa Famigla, in quella familiaritŕ che oggi e ben consociuta da milioni di rifugiati. Betlemme dice anche questo, ricorda anche questo, annunzia anche questo; non č solo il luogo della nascita del Salvatore ma a questa č connessa tutta una serie di episodi molto significativi che il Vangelo ci narra č che qui si sono verosimilemnte concretati. Accogliamo con fede una Parola che ha bisogno di un cuore sempre nuovo per poter fruttificare, augurandoci che ciň possa avvenire nel cuore di ogni credente e di ogni uomo di buona volontŕ. Ritorniamo sui nostri passi e percorriamo quella street che vien denominata col nome del santaurio Milk Grotto e che ci riporta sulla piazza della nativitŕ; ripercorriamo quei passi che fecero di certo tante volte i genitori di Gesů, avendo quel Bambino sulle braccia e ricordando, a tutti noi, che la santitŕ di questi luoghi deve essere per tutti monito ed impegno di venerazione e di imitazione.

fr. Marcello Badalamenti ofm




Fonte www.presenzadelvangelo.org

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