Liberaci, o Vergine santa e illibata, da qualsiasi pericolo che ci sovrasta e da ogni diabolica tentazione. Sii nostra Riconciliatrice e Avvocata nell’ora della morte e del nostro particolare giudizio.
Liberaci dal fuoco eterno e inestinguibile. Rendici degni della gloria del Figlio tuo, o Vergine e Madre dolcissima e clementissima.
Tu sei l’unica nostra sicura e sacra speranza presso Dio.
Amen. Ave Maria!
I santuari di Maria, in cui le tele sono attribuite a mano angelica, o le statue sono fatte rimontare al periodo della persecuzione iconoclasta di Leone Isaurico, sono talmente numerosi in Italia, che lo storico, di fronte a tanti miracoli, non sempre confermati da documenti, resta perplesso.
Comunque il più delle volte può fare le veci di documento l’antichità della pia tradizione, che ha in sé appunto qualcosa di venerando, anche se in essa, a distanza di secoli, non sia facile distinguere la verità dal contorno di leggenda, che la pietà popolare vi ha ingenuamente mescolato.
L’attuale Santuario, anche se non nella restaurata forma che oggi presenta, esisteva già nell’antica Akrillai; per questo si ebbe il titolo di «Santa Maria La Vetere». Lo storico Vito Amico nel Settecento della chiesa di Gulfi poteva dare la seguente definizione: «Chiesa, assai illustre per la frequenza di miracoli e di popolo». Essa era una delle cinque Chiese esistenti in Gulfi. Delle altre, S. Lorenzo, antico Patrono, S. Ippolito, S. Elena, S. Nicola, rimane solo il nome o qualche lieve traccia.
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Il Gaetani la fa risalire al quarto secolo, cioè dopo l’Editto di Costantino. Una lapide, murata nell’attuale Chiesa, ricorda la visita di S. Gregorio Magno quando, recandosi dal Cenobio di Bruscello —fra Modica e Ragusa— all’altro di Vizzini, sostò per pregare dinanzi alla grotta della Natività.
L’immagine di marmo della Vergine non esisteva allora in quella chiesetta. Quando vi compare, a lato alla povera e semplice grotta della Natività?
Una pia credenza, in cui forse la devozione alleata alla fantasia poetica del popolo ha inteso esaltare il caro simulacro oggetto del culto, assegna alla statua una provenienza molto lontana, Costantinopoli, nel periodo della persecuzione dell’Imperatore iconoclasta, Leone Isaurico. Sottratta misteriosamente alla distruzione, assieme a quella del Salvatore, sarebbe giunta miracolosamente sulla spiaggia fra Scoglitti e S. Croce Camerina.
La contesa sorta tra i fedeli delle città vicine, per il possesso delle due statue, sarebbe stata risolta ponendo le statue su due carri trainati da buoi. La tradizione vuole che il primo, con la statua della Madonna, si sarebbe fermato a Gulfi presso l’antica grotta-chiesetta, mentre l’altro, con la statua del SS. Salvatore, si sarebbe arrestato più in alto.
Di certo vi sono due elementi: a) La statua, ad una analisi scientifica recente, è risultata di marmo di Carrara; nel drappeggio però della parte inferiore vi sono tracce di arte anteriore a quella dei Gagini; b) Un documento del 9 Agosto 1382 attesta che Cristoforo de Crucetta lasciava nel testamento, rogato presso il Notaio Luca Lionphanti-Musca, una somma per la manutenzione perenne di due lampade dinanzi alla Immagine di Maria di Gulfi. La statua, dunque, appare anteriore ai Gagini. Il Santuario divenne presto centro di pietà mariana; aumentarono perciò i legati per il mantenimento del culto e della fabriceria, sicché più tardi lo storico Alberti poteva scrivere: «I Chiaramontani non sanno vivere lontano da Maria e ne hanno aumentato le feste».
Per questo attaccamento devoto e filiale a Maria i Chiaramontani, come risulta dagli Archivi dell’Arcidiocesi di Siracusa, fin dal 1550, la elessero «Patrona» della Città. Attiguo al Santuario sorgeva un conventino, che dal 1550 al 1590, fu abitato dai Cappuccini. Trasferitisi questi a Chiaramonte —nel nuovo convento attiguo alla Chiesa della Maddalena— a Gulfi si stabilirono, nel 1611, gli Agostiniani, che vi rimasero sino al 1779.
Ma i Chiaramontani sono legati alla «loro » Madonna in modo particolare con una festa annua, il solenne novenario, che si celebra nella Chiesa Madre S. Maria La Nova. Due fatti hanno influito nella istituzione di questa festività, veramente singolare per la devozione dei fedeli a Maria: il Decreto di Filippo IV, Re di Spagna, del 31-1-1644, che imponeva un solenne novenario di feste in onore della Madre di Dio e la singolare figura di un Gesuita, il P. Antonio Finocchio, apostolo della devozione a Maria di Gulfi in tutta la Sicilia.
A Chiaramonte si era indecisi sulla data della festa, ordinata dal Re, e sulle modalità di essa. Il P. Finocchio dal pulpito narrò una sua visione di Maria circondata da dodici Serafini e propose come data la Domenica in Albis con il trasporto in città della statua venerata nel Santuario di Gulfi. In quella occasione Maria di Gulfi fu rieletta Patrona principale per: «immensam et inenarrabilem devotionem, quam dieta Universitas semper gessit et gerit».
La festività fu organizzata dal P. Finocchio in modo geniale e consono alle usanze del tempo, quando il popolo era diviso in corporazioni o mestieri. Ogni sera una categoria di cittadini celebrava la Vergine di Gulfi: il lunedì i coltivatori e venditori di ortaggi («urtulani e putiari»); il martedì i mugnai («mulinari»); il mercoledì le donne; il giovedì i pastori («picurari»); il venerdì gli artigiani («masci»); il sabato i braccianti agricoli («iurnatari»); la domenica gli apicultori («vasciddari»); il lunedì gli agricoltori diretti («massari»); il martedì i servi, gli staffieri e i «vurdunari». Il mercoledì era assegnato al ritorno della sacra Immagine al Santuario di Gulfi.
Questa tradizione, iniziata con il P. Finocchio, non si è interrotta. E non si è nemmeno interrotta la catena di grazie che Maria concede ai suoi devoti.
Il nome di P. Antonio Finocchio è legato particolar mente alla predica mariana vespertina che, a suo ricordo, il popolo chiaramontano, ancora oggi, continua a chiamare « finocciu».
Oggi un genere di predicazione, non aulica, ma più adatta alle esigenze del tempo, continua a tenere desta e viva la devozione dei Chiaramontani a Maria di Gulfi.
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