“Mettere in campo misure che aiutino i giovani nel realizzare le proprie scelte e incoraggiarli a sentirsi protagonisti del processo di crescita”. Secondo Alessandro Rosina, docente di demografia dell’Università Cattolica di Milano e direttore del Centro di ricerca “Laboratorio di statistica applicata alle decisioni economico aziendali”, è quanto ogni Paese, che vuole risolvere il problema della denatalità, dovrebbe attuare. Ed è quanto Giappone e Russia stanno già facendo.
Un ministero giapponese per la natalità. Secondo statistiche del 2013, nel Paese del Sol Levante ogni donna ha in media 1,43 figli, dato simile a quello italiano del 2012. L’andamento passivo della bilancia della procreazione spaventa a tal punto il governo nipponico da istituire un vero e proprio ministero per la Natalità in decrescita. A condurlo è Masako Mori che, in un’intervista al “Wall Street Journal”, ha spiegato di voler puntare sulla crescita dei matrimoni per arginare il problema. La minor propensione a sposarsi e l’innalzamento dell’età in cui i giovani decidono di convolare a nozze sono, per il ministro, la causa principale del basso tasso di fertilità. Secondo una ricerca del 2012 il “70% degli scapoli e l’80% delle nubili vorrebbe sposarsi, ma non si sentono sicuri dal punto di vista economico” per compiere il grande passo. Per aiutarli Mori è convinta che il governo debba “stabilizzare le fonti di guadagno, aiutando la conversione dei lavori part-time o a termine in occupazione stabile”. Il ministro ha infatti convinto il gabinetto nipponico che l’Abenomics, la politica a favore della crescita voluta dal premier Abe, debba avere anche una componente “babynomics” per promuovere matrimonio e famiglie. Non solo quindi una semplice politica “a sostegno dell’infanzia”, ma una vera e propria “strategia economica”. “Le misure sono positive – analizza Rosina – perché coniugano economia e demografia. Il Giappone sta vivendo una ripresa e ha ben capito che al centro di questa deve mettere i suoi giovani”. Consapevole che il problema è anche culturale, oltre ai provvedimenti nazionali, Mori sta incoraggiando iniziative regionali per incentivare gli incontri tra giovani. Ecco dunque che la Prefettura di Kagawa individua il primo giorno del mese come “Giorno dell’Amore” e quella di Mie organizza workshop in cui discutere sull’importanza e il valore del matrimonio. “L’aspetto culturale non è da sottovalutare – commenta Rosina – anche se è difficile analizzarlo perché le nostre realtà sono molto diverse. Però è corretto declinare ogni misura con le specificità culturali e antropologiche del singolo Paese”.
I russi già in risalita. Se il Giappone dovrà attendere anni per vedere i risultati della sua “babynomics”, la Russia sta già raccogliendo gli effetti positivi dei provvedimenti messi in campo dal 2007. Dopo decenni di drastico affossamento demografico, sta infatti assistendo all’aumento del suo indice di natalità nell’ultimo anno e mezzo. La media di oggi, 1,7 figli per donna, supera quella dei Paesi europei ferma all’1,5. Tra i provvedimenti varati dal governo Putin il “Capitale materno” che prevede l’erogazione di una tantum di 300mila rubli (circa 6.300 euro) per la nascita del secondo figlio o successivo. La somma, che nel 2014 è salita a oltre 400mila (più di 9.000 euro), può essere utilizzata per il miglioramento delle condizioni di vita della famiglia, come l’acquisto dell’abitazione, per il fondo pensionistico della madre o per l’educazione dei bambini e il pagamento della scuola materna. Al “Capitale materno” si aggiungono poi diversi sussidi sia una tantum (460 rubli alle donne che si registrano presso i consultori familiari nelle prime settimane di gravidanza e 12mila per il parto) sia mensili (460 per le donne in gravidanza senza lavoro; 2.000 per il mantenimento del primo figlio e 4.000 per quello del secondo fino all’età di un anno e mezzo). Secondo Rosina, “positiva è la scelta di spingere le famiglie a cercare altri figli oltre il primo. Bisogna, infatti, averne almeno due perché la popolazione rimanga costante”. Gli interventi del governo Putin sono “mirati per sostenere i nuclei con più di tre persone che, come si sa, sono quelli a maggior rischio di povertà, non solo materiale, ma anche educativa e formativa”.
Il fattore immigrazione. “È importante non dimenticare che l’immigrazione è una risorsa”, conclude Rosina. “Se l’approccio russo si avvicina molto a quello europeo, pur con le inevitabili difficoltà di gestione, in Giappone c’è un blocco culturale, ostile a difendere l’identità nazionale da tutto ciò che è straniero. Ci vorrà molto tempo prima che riescano a superarlo, ma se non riusciranno a farlo ogni politica a sostegno della natalità sarà limitata. Un Paese che si chiude all’immigrazione è un Paese destinato al declino”.
Di Ramon Orini per Agensir