La terza opera di misericordia spirituale è di ammonire i peccatori. Anche qui, limitandoci a ciò che spetta a noi, si distinguono due tipi di correzioni. Una si dice paterna, ed è quella che fa chi ha autorità sopra il colpevole, perché gli è superiore, ed è ordinata, non solo all’emendazione del difettoso, ma anche al bene comune.
Sono tenuti, per giustizia, tutti quelli che hanno autorità, ogni volta che scorgono nelle persone a loro soggette dei difetti notevoli, soprattutto se questi difetti fossero tali che turbassero la pace e portassero il disordine in tutta la comunità.
Ad esempio, se una religiosa mostra simpatia più per una che per un’altra consorella; se coltiva particolari amicizie, formando combriccole e gruppetti, ritirandosi poi in disparte a ragionar tra loro, in segreto, e cose simili: questo sarebbe proprio nuocere alla comunità. Tale correzione di questi e simili difetti, i superiori, che devono, per stretto obbligo di coscienza, vigilare sul buon andamento della casa, sono obbligati a farla senza alcun riguardo e fare anche (quando vi sia bisogno) qualche severo rimprovero per estirpare, nelle loro suore, le radici di questa diabolica zizzania che è la vera peste della famiglia religiosa. Questa, dice S. Agostino, citato da S, Alfonso de’ Liguori nella sua « Monaca santa », converte i sacri ritiri da case di Dio in case del diavolo; da luoghi di santità in luoghi di perdizione.
La seconda specie di correzione si chiama propriamente ammonizione fraterna, alla quale, per comando di Gesù Cristo stesso, è tenuto ogni cristiano. « Se il tuo fratello sbaglia – dice S. Matteo – va e correggilo fra te e lui solo, in segreto. Se egli ti ascolta e riceve bene la tua correzione, tu hai guadagnata l’anima del tuo fratello. Se non ti ascolta, dillo ai superiori ». E questa correzione fraterna si deve anche fare per legge naturale di carità.
Questa ci obbliga a soccorrere il prossimo nostro quando è caduto in qualche grave miseria. E quale miseria più grave che cadere in peccato, sia pure veniale, il quale ci priva dei beni incomparabili della grazia e diminuisce in noi il fervore? E’ da notare che quest’atto della correzione fraterna, obbliga solamente quando vi sono le dovute circostanze di tempo, di luogo, di modo. Quando dunque siamo tenuti a correggere il nostro prossimo? Quando siamo certi ch’egli è caduto in peccato e quando si sono vagliate le conseguenze che ne potrebbero derivare; quando cioè, c’è probabile speranza che la persona da correggere, una volta che sia da noi avvisata e corretta, si emendi. Se si prevedesse invece che la correzione non servisse ad altro che ad inasprirla maggiormente e a farla cadere in nuovi difetti, allora si dovrebbe tralasciare. Così pure, noi siamo tenuti sotto pena di colpa a far la correzione fraterna, quando vediamo che il prossimo non si emenderà, se non sarà corretto, e che per fare la correzione non ci sono altri che noi, o, se vi sono, non la vogliono fare. In ogni caso, però, bisogna farla sempre con carità, prudenza e al momento opportuno. Con carità: vale a dire senza passione, senza avversione, con il solo fine di giovare al fratello e salvarlo dalla colpa.
Con prudenza: avendo riguardo al temperamento e alla condizione sua, adoperando le maniere più adatte e più proprie per guadagnarlo a Dio. Al momento opportuno: scegliendo il luogo e il tempo più adatto, ora usando parole alquanto forti, ora usando parole dolci, ed usando anche le preghiere. Ordinariamente occorre usare sempre preghiera e dolcezza, perché queste tutto possono e piegano anche i cuori più duri.
Redazione Papaboys (Fonte www.novena.it)
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