“Una nuova tappa nelle relazioni tra i nostri due Paesi”: così i vescovi cubani hanno accolto le dichiarazioni di Barack Obama e Raoul Castro sul ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Usa e Cuba. E a Cuba tutti sono sorpresi, emozionati e pieni di speranza per l’importanza di questo momento storico, reso possibile grazie alla mediazione di Papa Francesco. I vescovi ringraziano il Papa e si augurano che “la volontà manifestata dai presidenti contribuisca al benessere materiale e spirituale del nostro popolo”. Ci spiega meglio monsignor Josè Felix Pérez Riera, segretario aggiunto e portavoce della Conferenza episcopale cubana.
È l’ultimo muro della guerra fredda che cade, un momento storico per il mondo. Come è accolta questa notizia a Cuba?
Nel messaggio ringraziate anche Papa Francesco: ha svolto un ruolo decisivo. Lo sapevate?
“Sì, il ruolo del Papa, che si è impegnato in prima persona, e della diplomazia della Santa Sede sono stati decisivi. Entrambi i presidenti lo hanno riconosciuto esplicitamente, poi c’è la nota della Santa Sede che fa riferimento alle lettere personali che il Papa ha mandato a Obama e Castro e agli incontri tra le delegazioni dei due Paesi per arrivare a questo accordo. C’è stata molta discrezione intorno alla vicenda, non sapevamo molto”.
Cosa può cambiare ora, nella vita quotidiana dei cubani?
“In questo momento è molto difficile da prevedere. Bisognerà vedere come saranno implementate le iniziative annunciate dal presidente Obama. Il presidente Raul Castro ha detto che parlerà più avanti di alcune iniziative che faciliteranno migliori relazioni. Come primo effetto immediato cadrà lo stigma di una relazione antagonista, e ci sarà meno rivalità. Nel campo dell’economia, dei viaggi, bisognerà vedere. Sembra che l’aspetto economico sarà molto importante”.
Qual è stata la prima reazione dei cattolici cubani?
E la popolazione in generale? Di cosa avete più bisogno ora?
“C’è la sensazione che qualcosa può cambiare in meglio. Abbiamo bisogno di più spazio per poterci esprimere e di tutto ciò che può contribuire a vivere con serenità i bisogni spirituali e materiali”.
Gli esuli a Miami non sembra che siano molto contenti: molti pensano che sia una vittoria politica dei Castro.
“Noi cubani siamo difficili. Siamo persone appassionate, ce ne sono alcuni contenti e altri furiosi. Il futuro non è della rabbia ma della ragione e della verità”.
Anche perché saranno più facili i ricongiungimenti tra familiari, e diminuiranno le sofferenze delle famiglie…
“La divisione delle famiglie è stato un prezzo molto alto che ha pagato Cuba, con tutto quello che significa: persone che non hanno potuto partecipare ai funerali dei parenti o a momenti speciali delle proprie famiglie. Situazioni umane che ora speriamo riducano la sofferenza”.
Per la fine dell’embargo bisognerà aspettare ancora, ossia l’approvazione del Congresso americano. Vi preoccupa?
“Il presidente Obama ha detto che presenterà personalmente questa proposta al Congresso nella sessione del prossimo anno. È un passo più difficile, però ci consola il fatto che il presidente ha annunciato di volersi impegnare in prima persona”.
Cos’è cambiato a Cuba in questi sei anni con Raoul Castro presidente?
“Ci sono stati cambiamenti in alcuni aspetti dell’economia, una certa flessibilità per avviare attività di lavoro autonomo, la liberalizzazione dei permessi per viaggiare all’estero. Tutte piccole tappe importanti”.
E per la Chiesa?
“Tra Chiesa e governo c’è stata una relazione più fluida, soprattutto quando le autorità della Conferenza episcopale si sono incontrate con il presidente Raoul Castro per la liberazione dei detenuti politici. Ai vescovi sono state date alcune possibilità, ancora molto limitate, per rivolgersi pubblicamente ai fedeli della propria diocesi, in alcuni momenti dell’anno: a Natale, durante la Settimana Santa e la Festa della Vergine della Carità del Cobre, patrona di Cuba”.
Ora non c’è che da aspettare la visita di Papa Francesco…
“Ce lo auguriamo davvero. Ha già annunciato che verrà in America l’anno prossimo, speriamo venga anche da noi”.
di Patrizia Caiffa per Agensir
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