The White Helmets (I Caschi bianchi) ha vinto l’Oscar al miglior cortometraggio documentario. Il film, prodotto da Netflix, racconta le gesta dei membri del corpo di protezione civile impegnati a soccorre le vittime dei bombardamenti in Siria.
Tra le oltre 60.000 persone salvate da quando è iniziata la guerra civile c’è anche la storia di Mahmud Ibildi, un piccolo siriano di soli dieci giorni. Il suo salvataggio fu qualcosa di miracoloso. Nell’estate del 2014 un bombardamento ad Aleppo distrusse completamente la casa dove viveva, uccidendo il padre e la sorella. Solo grazie alla determinazione di un volontario dei Caschi bianchi, Khaled Omar Harrah, fu possibile estrarre vivo il bambino dalle macerie che lo tenevano prigioniero. Dopo oltre sedici ore di sforzi, l’immagine di Khaled abbracciando emozionato il piccolo commosse il mondo e Mahmud divenne “il bambino del miracolo”.
Il salvataggio del piccolo Mahmud
Nell’unica intervista concessa dopo il salvataggio del piccolo, Khaled raccontò i dettagli dell’operazione. In quel pomeriggio del giugno 2014 una bomba aveva colpito una palazzina riducendola ad un cumulo di macerie. Questo volontario, che prima della guerra faceva l’imbianchino, fu uno dei primi ad arrivare sul luogo del disastro e, tra le urla dei vicini, si mise immediatamente a cercare dei superstiti. Quando sembrava non ci fosse più nessun’altro in vita, la madre di Mahmud, ancora sotto shock, disse ai Caschi bianchi che il suo bambino era ancora sepolto sotto le macerie. “Il mio bambino è ancora qui!” gridava la donna, senza però ricordare dove si trovasse il piccolo prima dello scoppio della bomba. Dopo estenuanti ricerche, Khaled e gli altri erano ormai rassegnati quando, all’improvviso, il pianto del bambino diede loro la speranza. Seguendo il rumore dei singhiozzi di Mahmud, i soccorritori, utilizzando solo dei martinetti riuscirono a sollevare una lastra di cemento armato.
Ma il muro si ruppe e il bambino smise di piangere. Rimasero in silenzio: “Avevamo il cuore in gola”, dichiarò Khaled. “Tutto ciò che potevamo vedere era un cuscino che spuntava da sotto le macerie”, ricordò emozionato. Alle 3 e mezza di notte, dopo oltre nove ore dal bombardamento, Khaled, ormai esausto chinò la testa sul pavimento e fu in quel momento che sentì di nuovo il pianto del bambino sotto di lui. “Pensavo di delirare – confessò – e chiesi subito a un mio collega di appoggiare anche lui l’orecchio per avere conferma di quanto stessi sentendo”. Mahmud era vivo, intrappolato tra due lastre di calcestruzzo. Ci vollero ancora diverse ore e solo con l’aiuto della mani, Khaled finalmente riuscì ad estrarre il corpicino del bambino.
La guerra semina odio
Il piccolo Mahmud ora ha due anni e vive con la mamma in Siria. In una recente intervista alla televisione statunitense Cbs, la donna ha dichiarato: “Tutti mi dicono che lui è un bambino miracolato. E’ vero, è un miracolo che si sia salvato”. Ma quando le è stato chiesto come immaginasse il futuro di Mahmud ha aggiunto: “Cercherà di vendicare la morte del padre e della sorella”. Segno che, dopo sei anni di guerra civile, l’odio è un sentimento molto vivo tra i siriani e ci vorrà ancora moltissimo tempo prima che si possa pensare ad una riconciliazione nazionale.
Il sacrificio dei Caschi bianchi e l’Oscar
La sorte non ha però ricompensato il coraggioso soccorritore del bambino siriano: Khaled è rimasto ucciso nell’agosto scorso durante un raid aereo ad Aleppo.
Da quando è iniziata la guerra civile in Siria sono morti quasi 150 Caschi bianchi. Alla notte degli Oscar non era presente nessuno dei membri dell’organizzazione. Il Dipartimento della sicurezza interna ha vietato l’ingresso negli Stati Uniti anche a Khaled Khatib, il videomaker che ha girato la maggior parte delle riprese del documentario ma, come ha ricordato lo stesso Khatib, l’Oscar “darà forza a tutti i volontari che ogni mattina si svegliano per correre verso le bombe”. Un premio che servirà anche a ricordare il sacrificio dei tanti Caschi bianchi, morti per salvare vittime innocenti.
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