R. – La “Lectio divina” è innanzitutto un metodo di pregare la Parola contenuta nelle Sante Scritture. È un metodo che risale ai Padri della Chiesa, ma che ha avuto un’ora certamente straordinaria nel Medioevo con i monaci cistercensi e certosini, la “Sacra Pagina”. É stato allora che Guido il Certosino nella “Scala claustralium” ha proprio definito il metodo. È molto semplice. È un metodo in cui si prevedono quattro momenti. Innanzitutto, la lettura del testo della Scrittura e una comprensione del testo così come questo può essere letto, come dice. Un secondo momento è dato dalla meditazione: si tratta di cercare nel testo, eventualmente di pensare di aiutarci con dei commenti, oppure cercando dei brani paralleli all’interno della Scrittura. Il terzo elemento è l’orazione: lasciarsi ispirare dal brano letto per poter pregare. Se nel brano abbiamo trovato che Gesù perdona l’adultera, è una preghiera di richiesta di misericordia per i peccatori. Se Gesù ci dà il pane del suo corpo, è un preghiera affinché noi possiamo partecipare alla mensa eucaristica. Insomma, è proprio in quel caso lì che la Scrittura che detta le intenzioni della nostra preghiera. E l’ultimo momento, che può sembrare il più difficile – si chiama contemplazione – è nient’altro che cercare, dopo questa lettura, questa meditazione e questa preghiera, di vedere le realtà del mondo con gli occhi di Dio. La contemplazione è lo sguardo di Dio: è il sentimento di Cristo sulle cose ed è certamente il frutto dei primi tre momenti della “Lectio divina”.
D. – Dagli ultimi Papi, in particolare, è sempre venuto un invito, non solo ai sacerdoti ma anche ai laici, a vivere questa esperienza. Che cosa produce un’abitudine a praticare la “Lectio divina”?
R. – Quando ho proposto la “Lectio divina” all’inizio degli anni Settanta, sembrava una proposta stravagante. La “Lectio divina” non era più conosciuta e sono stato io a iniziare a quel metodo. Ma subito dopo Giovanni Paolo II, alla fine degli Anni ’90, poi Benedetto XVI e poi ancora Papa Francesco hanno raccomandato a tutti di adottarla, perché è la maniera con la Parola di Dio diventa nostro cibo. È la maniera con cui il Vangelo ci plasma, ci cambia, ci converte. Credo che se ciascuno, anche la persona più semplice, quella che lavora nel mondo, la fa per dieci minuti, un quarto d’ora al giorno, un tempo minimo, vede che la sua vita cambia giorno dopo giorno perché è plasmata dalla Parola. Solo se c’è questo ascolto assiduo, noi nutriamo la fede, diventiamo cristiani maturi, cristiani con la statura di Cristo, come dice Paolo, avendo in noi soprattutto i suoi stessi sentimenti.
D. – Se pensiamo all’indifferenza che oggi regna in tanti giovani rispetto alle cose dello Spirito, verrebbe quasi da dire che la “Lectio divina” sia una proposta per loro irricevibile. Qual è la sua esperienza in merito?
R. – Io devo dire la mia esperienza, e non un’esperienza recente: i giovani che vengono da noi a Bose, numerosi, sono migliaia durante l’anno. A loro non offriamo nient’altro che la “Lectio divina”. Certo, bisogna che la “Lectio divina” sia soprattutto il Vangelo reso eloquente, che tocchi la vita quotidiana dei giovani. Per cui, un ascolto della “Lectio divina” per i giovani è più facile oggi – dobbiamo dirlo, ahimè, purtroppo – di una Messa, di un Sacramento. Non dovrebbe essere così. Però oggi è così, perché una meditazione è un sentimento che tocca anche i non cristiani. Non dimentichiamo che molti, non trovandola nel cristianesimo, nella Chiesa, perché non gli viene offerta, fanno sovente questa svolta a Oriente, finendo in cose che sono estranee alla nostra cultura e che non danno certamente i frutti della Parola di Dio che è il Vangelo.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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