Un visita che ha permesso a Papa Francesco di scoprire da vicino la storia e l’anima dell’Albania, accanto a un popolo che non dimentica le sue ferite ma che ha da tempo imboccato la via della riconciliazione. Il direttore della Sala Stampa vaticana, e nostro direttore generale, padre Federico Lombardi, condensa in alcuni puntiil quarto viaggio apostolico, partendo dall’abbraccio commosso del Papa ai superstiti della persecuzione comunista. L’intervista è di Alessandro De Carolis per la Radio Vaticana:
R. – Non mi ha affatto sorpreso, questo momento di profonda commozione, perché il tema del martirio, della testimonianza della fede in situazioni estremamente difficili, è tema che il Papa sente moltissimo e tutti sentiamo con lui. Lo abbiamo già sperimentato anche in Corea, recentemente, anche se era un martirio in gran parte di tempi un po’ più lontani. In Albania, invece, sono tempi molto vicini e abbiamo avuto proprio l’incontro con dei testimoni che se non sono stati martiri essi stessi, nel senso che hanno perso la vita, di fatto hanno vissuto lo stesso tipo di esperienza di coloro che sono stati uccisi nella persecuzione. Ora, in questa giornata la presenza del martirio è stata molto grande, molto forte. Lo si è visto in quella bellissima presentazione che hanno fatto gli albanesi, con le grandi fotografie dei 40 martiri di cui è in corso la Causa di beatificazione, che erano appese lungo il Boulevard che è stato percorso più volte durante la giornata e che sta va proprio davanti alla sede della Messa e davanti al Palazzo presidenziale. E questo è stato un impatto molto grande. Tra l’altro, mi sono reso conto che anche per gli albanesi è stato un impatto molto forte, perché loro sanno bene che hanno avuto questa storia, ma i volti concreti di queste 40 persone di cui c’è la Causa di beatificazione moltissimi non li conoscevano o non li avevano così presenti.
Rivederseli davanti nella loro concretezza ha fatto una grandissima impressione anche agli albanesi stessi. Ha ridato loro il senso della presenza di quello che è stato vissuto nei decenni passati del secolo scorso. E il Papa lo ha vissuto in prima persona, molto. E quindi, quando si è trovato di fronte a queste due persone, due testimoni che con grande semplicità hanno raccontato quello che hanno vissuto, la commozione è stata grandissima: la sua e la nostra. Io ricordo che anche durante la comunione, al mattino, c’era un bellissimo canto cantato in albanese, quindi molti non capivano cosa dicesse, ma erano le parole della Lettera ai Romani di San Paolo che diceva: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione? Nulla ci potrà mai separare dall’amore di Cristo”. Ecco, questo canto bellissimo, con davanti tutte le figure dei martiri, mi ha dato un momento di commozione incontenibile, personale, in certo senso simile a ciò che in modo molto più importante ha vissuto il Papa al pomeriggio, incontrando e abbracciando questi due testimoni. E’ stato naturale, nella sensibilità del Papa, che abbia parlato poi a braccio, dicendo dalla pienezza del cuore quello che stava vivendo in quei momenti. E certamente, per noi – che sappiamo un po’ qual è stata la storia recente dell’Albania – non si può andare in Albania senza sentire questa intensità di questa presenza. Il Papa ha avuto anche delle parole molto belle quando ha detto che andava spiritualmente a quel muro del Cimitero di Scutari, dove sono stati fucilati diversi dei martiri che noi ricordavamo ieri. E quindi ha dato anche il senso della presenza ai diversi luoghi, in particolare a Scutari, che è stato un po’ il centro della vita cattolica dell’Albania, e quindi anche del martirio. Credo che il discorso del presidente avesse posto una bella premessa a questo viaggio, ricordando la storia dei rapporti tra l’Albania e la Chiesa e anche ricordando con forza quello che è stato il periodo della persecuzione. Personalmente, sono anche stato grato e colpito del fatto che il presidente abbia voluto ricordare la voce della Radio Vaticana come la voce che giungeva da Roma, portando i messaggi del conforto del Papa agli albanesi perseguitati. E non per niente, anche in passato qui il primo ministro dell’Albania ci ha portato l’onorificenza, che è l’Ordine di Madre Teresa, la più alta onorificenza del Paese, proprio per il servizio svolto in quel tempo dalla Radio Vaticana. Ecco: il martirio e la persecuzione sono, nella storia della Chiesa e nella vita della Chiesa, dei momenti di riferimento assolutamente fondamentali, sono quelli in cui veramente l’amore di Cristo e l’amore per Cristo e l’amore di Cristo per noi si manifesta nel modo più intenso. Non c’è da stupirsi, anzi sarebbe da stupirsi che non fossero i momenti più intensi anche nell’esperienza del Papa durante un viaggio come questo.
D. – Un altro momento intenso, in maniera diversa, è stato quello che è venuto dopo la celebrazione dei Vespri, ovvero l’incontro del Papa con i bambini ospiti in Casa Betania, struttura che accoglie bambini con vari tipi di disagio. E qui, il Papa, nell’abbracciarli, nel parlare ai presenti, ha utilizzato un pensiero che è ricorrente in lui, e cioè che la “bontà non è una debolezza”…
R. – In ogni viaggio del Papa c’è un momento dedicato esplicitamente al tema della carità e dell’impegno della Chiesa nel mondo della carità, dell’assistenza, dei gesti concreti di attenzione per chi è piccolo, per chi è povero, per chi è malato, per chi è in difficoltà. E quindi, la visita al Centro Betania era una parte essenziale di questo itinerario, anche perché effettivamente la Chiesa – in un Paese come l’Albania, come in tanti altri Paesi – dà un contributo sostanziale a queste attività in cui la carità e l’attenzione ai più piccoli si manifesta in modo concreto. E lo fa proprio grazie alla gratuità dell’amore, che è un amore forte, che quindi non fa tanti calcoli ma si dà con generosità e proprio perché, appunto , non dipende da calcoli. Vorrei far notare anche un piccolo riferimento che il Papa ha fatto quasi marginalmente, ma che non era casuale in questo discorso ed è quello al perdono: cioè, l’amore che si manifesta nella carità operativa è anche un amore capace di perdonare e nella società albanese – che ha tantissimi valori e tantissimi pregi che sono stati abbondantemente ricordati ieri –c’è però anche una tradizione, a volte, di vendette locali, di difficoltà di riconciliazione. Anche i nostri missionari, in tanti anni, soprattutto in regioni montagnose o difficili del Paese, hanno lavorato tantissimo per la riconciliazione: riconciliazione tra le famiglie, superamento degli asti tradizionali che inquinano a volte i rapporti tra le persone. E questo riferimento del Papa al superamento di ogni senso di recriminazione legata al passato, a una capacità di perdono e di riconciliazione piena, è un bel messaggio: valeva per gli albanesi, vale – veramente – un po’ per tutti. Quindi, la carità è una carità che va incontro agli ultimi e ai piccoli, ma è anche qualche cosa che ci aiuta ad andare al di là di noi stessi per creare le condizioni di una vera pace, profonda, quotidiana, nei rapporti personali, nei rapporti familiari di cui c’è un estremo bisogno, e di cui c’è bisogno, appunto, anche in Albania, ma ce n’è bisogno dappertutto.
D. – Papa Francesco è tornato in Albania e ha rinnovato un senso di speranza attraverso le sue parole e i suoi gesti. Nel farlo si è inserito nella scia di Giovanni Paolo II, che venne a ricostruire la Chiesa locale dalle macerie, quasi a porre una nuova prima pietra. Da quello che lei ha potuto vedere, che ricordo c’è di Papa Wojtyla tra gli albanesi?
R. –Papa Wojtyla è una persona fondamentale. Diciamo che la figura di Papa Wojtyla non è forse come quella di Madre Teresa, che è albanese lei stessa, ma è a un livello paragonabile perché è stato veramente colui che per primo, dopo il tempo della grande persecuzione – quando il Paese era ancora deserto di speranza e quando molti tendevano a fuggire, ad andare via, a migrare perché non vedevano prospettive nel Paese – ha incominciato a ricostruire concretamente, con la sua presenza, con il suo incoraggiamento, la Chiesa e là ha dato una speranza anche all’intera società albanese. Quindi, Giovanni Paolo II ha un posto fondamentale nella storia della nuova Albania dopo il totalitarismo. Francesco quindi si è messo sulle sue tracce, continuando a portare avanti il Paese che adesso si trova in una situazione profondamente diversa da com’era quando l’ha visitato Giovanni Paolo II, ma con nuove sfide. Sono venute fuori anche queste, le ha indicate bene l’arcivescovo di Tirana nel suo saluto al termine della Messa, ma sono emerse anche dai discorsi del Papa, in particolare da quello ai giovani, all’Angelus: attenzione, non ci sono più le sfide dell’ateismo ideologico comunista del totalitarismo ateo espressamente avversatore di Dio in termini teorici, ma c’è il materialismo con le sue sfide, c’è il consumismo, c’è l’individualismo, ci sono tutte le insidie del materialismo ateo, perché di fatto è ateo, indifferente, porta nuovi idoli…. Ecco, queste sono sfide reali che sono sempre più presenti e che quindi vanno affrontate con decisione. Il viaggio di Francesco proietta appunto un’Albania giovane verso un futuro di inserimento pacifico e costruttivo nell’Europa, ne ha fatto un modello ideale di convivenza tra religioni e confessioni, ma non bisogna dimenticare che ha portato con sé anche il monito dell’attenzione ai rischi del materialismo di oggi.
D. – Nel corso delle ore di ieri, Papa Francesco ha avuto modo di esprimerle qualcosa circa i suoi sentimenti rispetto a quello che stava vivendo?
R. – Non è che abbiamo avuto dei colloqui personali – gli avvenimenti erano così rapidi, uno dopo l’altro, che si passava da uno all’altro, senza interruzioni. Però, il Papa, lo si vede, non è una persona che nasconda i suoi atteggiamenti, le sue reazioni. Quindi, tutti hanno potuto vedere un particolare che vorrei notare: che si è mosso tutta la giornata nell’auto scoperta, attraverso la città di Tirana, e quindi anche le chiacchiere che sono state fatte prima, magari, di preoccupazione, di minacce, di rischi eccetera, si sono manifestate assolutamente infondate nella realtà. Il Papa si è mosso come si muove abitualmente, senza nessun ostacolo e senza nessuna distanza, con tutta la gente che incontrava e che era attorno a lui, e quindi ha vissuto veramente l’incontro con un popolo, anche in questo caso. Questo gli ha fatto piacere. E’ stato un incontro nuovo: non era stato in Albania, ha detto egli stesso di cose che ha scoperto o di cui si è reso conto: il popolo giovane, la convivenza tra le diverse religioni, il ricordo del martirio… Insomma, tante cose belle e importanti che ha scoperto durante questa giornata. Alla sera, certamente, dopo una giornata così intensa, si vedeva che aveva avuto una giornata che non era stata di riposo. Ma la soddisfazione per il servizio compiuto, per tutto quello che aveva ricevuto anche dall’incontro con gli albanesi, era palese e pieno di gioia spirituale.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana