D. – Lei ha descritto nella lettera pastorale la vostra vocazione ad essere ponte in un contesto molto difficile, lacerato dal conflitto…
R. – Io spero che noi troviamo il modo di essere ponte, ma ponte fra gli ebrei e i cristiani, che hanno un passato durissimo, ma anche con i nostri fratelli qui, che sono i palestinesi arabo-cristiani, che sono adesso arabofoni e sono nostri fratelli: qui ci sono muri a causa della situazione politica e storica nel Paese, dove c’è una ferita molto profonda di animosità fra arabofoni e quelli di lingua ebraica, noi dobbiamo trovare il modo di dire che siamo un corpo di Cristo con i nostri fratelli arabofoni. Noi siamo chiamati ad essere una Chiesa unita, una, abbiamo la vocazione di parlare forte sulla pace, sulla giustizia, sulla riconciliazione fra il mondo arabo e questo mondo israeliano. Non è facile, perché ci sono tantissimi che vogliono la violenza, la guerra, e non pensano alla riconciliazione, noi che parliamo ebraico dobbiamo dare questa testimonianza al cuore della società ebraica: essere con gli ebrei, per gli ebrei, ma anche discepoli di Cristo che annunciano chiaramente pace, giustizia, riconciliazione, non c’è un altro cammino. Facciamo questo in comunione profonda con i nostri confratelli cristiani arabofoni che dicono la stessa cosa nella società palestinese e nel mondo arabo.
D. – Uno dei punti della sua lettera riguarda l’importanza della trasmissione della fede alle nuove generazioni, questa è quella che lei sottolinea essere una delle sfide più importanti e che si trova a confrontarsi con un pericoloso fenomeno in atto che riguarda, che tocca, i giovani cattolici…
R. – Loro si convertono all’ebraismo non per essere ebrei religiosi, ma per fare parte della maggioranza. Quindi il problema maggiore non è un passaggio da un cristianesimo praticato ad un ebraismo ortodosso, è più la questione di un ragazzo che è cristiano, che è nato in una famiglia dove la fede c’è, e che entra profondamente, per mezzo della scuola, dell’esercito, della vita sociale, nella società ebraica laica. Per essere parte piena di questa società lui passa per una conversione, e questo succede molto spesso nell’esercito. La maggioranza dei nostri giovani vengono da famiglie di origine russofona, della Polonia, delle Filippine, e sono qui tentati di diventare ebrei perché è più facile, ma ci sono questioni molto più importanti di questa discriminazione: per esempio con chi si sposeranno i nostri giovani? C’è sempre la grande questione aperta dei matrimoni misti. La società israeliana un po’ più liberale, aperta, laica, e sottolineo laica, è una società che ha le sue linee rosse, e una di queste linee è che qualcuno che intende far parte piena di questa società deve diventare in qualsiasi modo ebreo come noi siamo ebrei.
D. – Gli ordinari cattolici della Terra Santa hanno denunciato un rabbino estremista che qualche giorno fa ha spinto in pubblico a bruciare chiese e moschee. Questo è un gravissimo segno di intolleranza nei confronti delle minoranze religiose del Paese…
R. – Credo che sia importante che lo Stato prenda misure contro una persona che parla apertamente così. Sono stati fatti più di 40 attacchi gravi a chiese e moschee. Noi, come ordinari della Terra Santa, speriamo che ci sia un vero cambiamento nell’istruzione specialmente nelle scuole religiose ebraiche. Devono cambiare l’insegnamento su chi è un cristiano, chi è un musulmano, dire che fanno parte integrante della società, e che sono cittadini con eguali diritti.
Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va)
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