E’ la dolorosa attualità del tema della pace, spiega padre Raniero Cantalamessa, unita alla necessità di ridare a questa parola la ricchezza di significato che essa riveste nella Bibbia, il motivo che ne fa l’argomento delle meditazioni di preparazione al Natale. La prima ed essenziale pace – da cui dipendono quella interiore e quella tra i popoli – come ci insegna la Parola di Dio, è quella verticale, tra cielo e terra, tra Dio e l’umanità. Ed è un Dono di Dio, parte di quel piano di redenzione con cui ha risposto al peccato originale:
“Di fronte alla ribellione dell’uomo – il peccato originale – Dio non abbandona l’umanità al suo destino, ma decide un nuovo piano per riconciliarlo con sé. Un esempio banale, ma utile per capire, è quello che avviene oggi con i cosiddetti navigatori satellitari installati sulle auto. Se a un certo punto l’autista non segue l’indicazione datagli dall’alto dal navigatore; svolta, per esempio, a sinistra, anziché a destra, il navigatore in pochi istanti gli traccia un nuovo itinerario, a partire dalla posizione in cui si trova, per giungere alla destinazione desiderata. Così ha fatto Dio con l’uomo, decidendo, dopo il peccato, il suo piano di redenzione”.
Compimento di tutte le promesse di pace è la nascita di Gesù, il suo farsi uomo, ma, spiega padre Cantalamessa, è soprattutto la sua morte di Croce che permette la riconciliazione tra Dio e gli uomini, tra cielo e terra. “Bisognava che ci fosse qualcuno”, dice, “che riunisse in se stesso colui che doveva combattere e colui che poteva vincere, e questo è ciò che è avvenuto con Cristo, Dio e uomo”:
“La morte di Gesú in croce è il momento in cui il Redentore compie l’opera della redenzione, distruggendo il peccato e riportando vittoria su Satana. Come uomo, quello che compie ci appartiene: ‘Cristo Gesù, è stato fatto da Dio, per noi, sapienza, giustizia, santificazione e redenzione’ (1Cor 1,30), per noi! D’altra parte, in quanto Dio, ciò che opera ha un valore infinito e può salvare ‘tutti coloro che si accostano a lui’ (Ebr 7,25)”.
Nel sacrificio di Cristo la prospettiva è rovesciata:
“Cristo, diceva già la Lettera agli Ebrei (Ebr 9, 11-14), non è venuto con sangue altrui, ma con il proprio. Non ha fatto vittime, ma si è fatto vittima. Non ha messo i propri peccati sulle spalle degli altri – uomini o animali -; ha messo i peccati degli altri sulle proprie spalle: ‘Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce’ (1 Pt 2, 24)”.
Lo stesso sacrificio assume nuovo significato:
“Di solito il sacrificio di espiazione serviva a placare un Dio irato per il peccato. L’uomo, offrendo a Dio un sacrificio, chiede alla divinità la riconciliazione e il perdono. Nel sacrificio di Cristo la prospettiva è rovesciata. Non è l’uomo a esercitare una influenza su Dio perché si plachi. Piuttosto è Dio ad agire affinché l’uomo desista dalla propria inimicizia contro di lui. ‘La salvezza non inizia con la richiesta di riconciliazione da parte dell’uomo, bensì con la richiesta di Dio di riconciliarsi con lui’” .
Dunque questo dono della pace, così inteso, ricevuto per mezzo di Gesù Cristo e meritato con la sua morte di croce, deve cambiare a poco a poco il nostro rapporto con Dio e restaurare l’immagine stessa che di Dio Padre c’è nel cuore degli uomini, compresi noi credenti. Padre Raniero parla di un “cristianesimo spento”, “senza slancio e gioia”, “vissuto come dovere e non come dono” di un Dio inteso, in genere, come Onnipotente, Essere supremo “imposto dall’esterno all’individuo”:
“Inconsciamente, si collega la volontà di Dio a tutto ciò che è spiacevole, doloroso, a ciò che, in un modo o nell’altro, può essere visto come mutilante la libertà e lo sviluppo individuali. È un po’ come se Dio fosse nemico di ogni festa, gioia, piacere. Non si pensa che la volontà di Dio è chiamata nel Nuovo Testamento eudokia (Ef 1,9; Lc 2, 14), cioè volontà buona, benevolenza, per cui dire ‘sia fatta la tua volontà’ è come dire ‘si compia in me, o Padre, il tuo disegno d’amore’”.
Certo la misericordia di Dio non si è mai è ignorata, continua Padre Cantalamessa ma è stata intesa prevalentemente come correttivo alla giustizia divina:
“È venuto fuori con Dio un rapporto di mercanteggiamento. Non si dice che bisogna accumulare meriti per guadagnare il Paradiso? E non si attribuisce grande rilevanza agli sforzi da fare, alle Messe da far celebrare, alle candele da accendere, alle novene da fare? Tutto questo, avendo permesso a tanta gente in passato di dimostrare a Dio il proprio amore, non può essere gettato alle ortiche. Ma non si può negare che c’è il rischio di cadere in una religione utilitaria, del ‘do ut des’”.
Aprendoci invece all’azione dello Spirito Santo, che rende operante in noi il dono della pace, sottolinea il predicatore della Casa pontificia, “Egli ci insegna a guardare a Dio con un occhio nuovo”: come il Dio della legge certo, ma prima ancora come il Dio dell’amore e della grazia, misericordioso e pietoso:
“Ce lo fa scoprire come alleato, amico, come colui che ‘non si è risparmiato il proprio Figlio ma lo ha dato per tutti noi’ (è così va inteso Rom 8, 32). In una parola, lo Spirito Santo ci comunica il sentimento che aveva Gesú del Padre suo. Sboccia allora il sentimento filiale che si traduce spontaneamente nel grido: Abbà, Padre!”.
E’ da qui dunque, conclude padre Cantalamessa, che inizia la nostra preparazione al Natale:
“Partiamo per il nostro lavoro quotidiano con una domanda: Quale idea di Dio Padre c’è nel mio cuore: quella del mondo o quella di Gesù?”.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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