Italiae et Ecclesia

Padre Guidalberto ha ricostruito un intero borgo per accompagnare i malati terminali negli ultimi anni

Il monaco dei Ricostruttori nella preghiera sta restaurando un villaggio abbandonato sull’Appennino di Prato. Diventerà un hospice per persone in cammino verso la fine della vita

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«La morte? È l’unico tabù rimasto nella nostra cultura». Sorride sotto la folta barba e i capelli alla nazarena padre Guidalberto Bormolini, uno di quei personaggi che non puoi presentare in poche parole: monaco e prete cattolico, maestro di meditazione orientale, liutaio, studioso dei fondamenti teologici dell’alimentazione vegetariana e, appunto, tanatologo, cioè esperto di ciò che riguarda la fine della vita terrena. «La parola “morte” non viene più detta: le persone ci lasciano, scompaiono, si spengono…», esemplifica padre Guidalberto. «Cerchiamo in tutti i modi di cancellare la morte ma, se ci dimentichiamo che dobbiamo morire, sprechiamo la nostra vita».  

Ascoltare questo monaco mentre parla con la sua voce flautata mette serenità, si legge su Famiglia Cristiana, forse proprio perché non si fa remore a pronunciare quell’innominabile realtà. Allora ci voleva proprio un tipo come lui per mettere in piedi un progetto controcorrente che la morte vuole rimetterla al centro.


RICOSTRUZIONE INTERIORE

Da due anni infatti, con la onlus Tutto è vita

di cui è fondatore, padre Bormolini ha avviato il recupero di un borgo abbandonato nella Valle del Bisenzio, con l’obiettivo di trasformarlo in un villaggio dedicato all’accompagnamento delle persone con diagnosi di malattie incurabili. «Ma non per trattarli da moribondi», avverte, «perché se si muore già da vivi, come si può sperare di vivere in eterno dopo la morte?».

Padre Bormolini, 51 anni, appartiene a una comunità di religiosi fondata negli anni Ottanta dal padre gesuita Gian Vittorio Cappelletto. Si chiamano Ricostruttori nella preghiera, e non è un modo di dire. La loro spiritualità, infatti, è incentrata sul lavoro manuale finalizzato al recupero di luoghi abbandonati per trasformarli in centri di formazione e meditazione: «Ricostruire fisicamente per ricostruirsi interiormente».

LA STORIA DI GUIDALBERTO E’ ECLETTICA QUANTO IL SUO CURRICULUM

«Sono cresciuto in parrocchia, ma già a 14 anni mi sentivo profondamente anticlericale ed ero molto impegnato nel sociale e nei movimenti pacifisti. I miei riferimenti erano don Milani, padre Turoldo, monsignor Bettazzi…», racconta. «Alcuni amici mi invitarono a un ritiro di padre Cappelletto e da allora lui è stato la mia guida». Terminati gli studi, Guidalberto inizia a lavorare come falegname e intanto frequenta un corso da liutaio a Milano. Ma non si sente soddisfatto, è sempre in ricerca: «Non mi bastava niente, fino a quando, a 26 anni, sono entrato nei Ricostruttori e lì ho trovato l’unità che cercavo». Trascorre il noviziato a fare il muratore, ristrutturando una cascina in Piemonte, e poi viene mandato a compiere gli studi teologici all’Università Gregoriana di Roma. Nel 2000 è ordinato prete ad Arezzo dall’allora arcivescovo Gualtiero Bassetti, oggi presidente della Cei, e viene inviato a Firenze dove, seguendo la lezione di padre Cappelletto, propone percorsi di ricerca interiore per persone lontane dalla fede.

ANNUNCIO SENZA DOGANE

«Oggi», spiega padre Bormolini, «non c’è più l’ateismo militante, c’è l’indifferenza, che è peggio perché il disinteresse verso il sacro porta all’indifferenza verso l’umano e ben lo vediamo nelle notizie di attualità». Quindi la proposta dei Ricostruttori parte sempre da un aggancio non confessionale («come dice papa Francesco, “non ci sono dogane”»): corsi di meditazione, espressione artistica, iniziative culturali. «Al mistero ci si avvicina a piccoli passi: quando le persone sono pronte, sono loro che chiedono di Cristo e dei sacramenti».

Carisma da leader spirituale, da quando padre Guidalberto è responsabile per la Toscana dei Ricostruttori, le vocazioni nel movimento si sono moltiplicate: diversi ragazzi e ragazze, tanti dei quali fino a quel momento del tutto lontani della Chiesa, sotto la sua guida hanno chiesto di professare i voti. Ora tutte quelle giovani energie sono concentrate sul progetto del borgo di Mezzana.

UN BORGO PER LA VITA

«In questo villaggio sta sorgendo un hospice», racconta, «ma ci saranno anche una sala di preghiera, l’abitazione per i consacrati, la “Casa delle arti” per laboratori espressivi, una foresteria, l’abitazione per alcune famiglie. Persone che cercheranno di scegliere la vita tutti insieme, senza distinzione tra sani e malati. Anche perché lui ha un tumore, ma tu magari sei “malato” del non aver amato abbastanza». La struttura sanitaria vera e propria, con le camere di degenza, sarà costruita ex novo mentre il resto troverà spazio dalla ristrutturazione dei 12 edifici del borgo.

Padre Bormolini, che insegna al master in Studi sulla fine della vita dell’Università di Padova, ha in mente un progetto innovativo: «L’accompagnamento spirituale (non confessionale) sarà la cura principale. Sarà la prima esperienza di questo tipo in Europa», spiega. «Nonostante infatti le principali società scientifiche delle cure palliative indichino l’accompagnamento spirituale quale parte integrante della presa in carico del paziente, in pratica oggi non si fa molto, soprattutto perché l’accompagnamento inizia troppo tardi. A Mezzana, invece, già dal momento in cui una persona riceverà una diagnosi infausta, potrà frequentare attività e vivere periodi residenziali. Significa avere davanti molti mesi, o anche anni, per compiere un percorso. E quando la vita volgerà al termine, potrà trovare assistenza medica e spirituale nell’hospice, che sarà convenzionato con il Sistema sanitario pubblico».

«I malati», conclude padre Guidalberto, «hanno diritto di sapere che stanno per morire. Gli studi scientifici, infatti, dimostrano che chi è consapevole cambia la propria scala di valori, diventa più altruista… Per scegliere la vita non è mai troppo tardi, anche se si sta per morire».

LA STORIA. I RICOSTRUTTORI NELLA PREGHIERA

I Ricostruttori nella preghiera, movimento riconosciuto come associazione pubblica di fedeli, contano un centinaio di consacrati tra donne e uomini, trenta dei quali preti, e alcune centinaia di volontari. Sono presenti con una cinquantina di sedi in quasi tutte le regioni d’Italia. La fondazione si deve al Gesuita Gian Vittorio Cappelletto (1928-2009), detto padre John.

Egli, negli anni Settanta, entra in contatto con monaci indiani e scopre la meditazione profonda e lo yoga, che (nonostante l’iniziale contrarietà dei superiori) giudica compatibile con il cattolicesimo e in continuità con la spiritualità dei padri cristiani orientali. A Torino inizia così a organizzare incontri di meditazione per giovani lontani dalla Chiesa, che riesce a riavvicinare. Promuove quindi la ricostruzione di cascine e monasteri abbandonati per trasformarli in centri di preghiera. Intorno a lui si forma un primo nucleo di consacrati. «Vogliamo essere un fermento cristiano in un mondo pagano», diceva padre John.

Di Paolo Rappellino per FamigliaCristiana.it

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