Una bellissima intervista a Padre Gigi Macalli
(Fonte Vatican News – Benedetta Capelli e Gabriella Ceraso)
Ieri Papa Francesco all’Angelus, ha chiesto ai presenti in piazza San Pietro, un applauso per padre Gigi Maccalli. Un modo per esprimere la gioia della Chiesa dopo la liberazione del missionario italiano, rapito in Niger il 17 settembre del 2018 e rilasciato in Mali dieci giorni fa.
Desidero ringraziare Dio per la tanto attesa liberazione del padre Pierluigi Macalli – lo salutiamo con questo applauso – che era stato rapito due anni fa in Niger. Ci rallegriamo anche perché con lui sono stati liberati altri tre ostaggi. Continuiamo a pregare per i missionari e i catechisti e anche per quanti sono perseguitati o vengono rapiti in varie parti del mondo.
I missionari armati di non-violenza
Sorpresa e commozione per padre Gigi, non si aspettava le parole di Francesco proprio nella Giornata Mondiale Missionaria nella quale si ricordano i tanti “tessitori di fraternità”, sparsi in ogni angolo del mondo per portare l’acqua fresca del Vangelo. Il suo pensiero va anche a suor Gloria Narváez, la religiosa colombiana rapita da jihadisti in Mali nel 2017, chiede preghiere per lei e per la sua liberazione.
Il missionario della Società delle Missioni Africane, originario di Madignano, in provincia di Cremona, dice di “essere ancora in fase di atterraggio”, frastornato da quanto accaduto. Confessa di sentirsi “un deportato di guerra” perché sulla sua pelle ha vissuto l’odio e il disprezzo dei fondamentalisti. Ha sentito però la consolazione dell’ascolto di Radio Vaticana, compagna di prigionia per 4 mesi e sostegno nei momenti più difficili.
“Non avevo altro che la preghiera”: così padre Pierluigi Maccalli che, a Vatican News, racconta la commozione per le parole di Francesco:
R. – È stata lunga. Una lunga infinita attesa. Non ho ancora potuto riorganizzare i pensieri, i sentimenti, sono ancora in fase di atterraggio, scusate, ma questa esperienza è stata per me un’esperienza forte. Pensavo mi avessero rubato due anni di missione, mi rendo conto invece che sono stati due anni fecondi, perché la missione è Missio Dei ed è in buone mani, le mani di Dio. Certo ho fatto questa esperienza che io definisco da deportato di guerra, ho sentito sulla mia pelle l’odio e il disprezzo, perché rappresentavo il nemico da combattere. Ma questa esperienza di prigionia mi ha permesso di sentirmi in comunione con tutte le vittime innocenti della violenza e della guerra: noi missionari siamo sovente facili bersagli di vendette, di persecuzioni in molte parti del mondo. Siamo vittime innocenti e testimoni di un mondo di fratellanza universale possibile.
Siamo pericolosi, direi proprio, perché armati di nonviolenza e crediamo che lo Shalom trionferà sul male, crediamo che “giustizia e pace si baceranno e verità e amore si incontreranno”. Ecco, con la nostra vita e, per alcuni anche con il martirio, spezziamo la spirale della violenza offrendo a tutti il perdono, come l’ho offerto io a quanti mi sorvegliavano e mi tenevano in catene.
Mi dicevo, guardando questi giovani col Kalashnikov in mano: “Non sanno quello che fanno”. Sono convinto e credo fermamente, dopo questi due anni, che la preghiera, e la preghiera insieme – che ho sentito e mi hanno testimoniato i gruppi missionari, la diocesi che tutti 17 del mese si è riunita per una veglia e una marcia di preghiera – la preghiera insieme è il filo indispensabile per tessere la tela della pace e della fraternità. E la mia preghiera, da quel luogo sperduto del Sahara, è stata la mia forza, non avevo altro. Mi hanno rapito in pigiama, mi sono fatto un rosario di tessuto che ho annodato e pregato ogni giorno, mattina e sera, affidandomi a Maria che scioglie i nodi.
Ecco, penso che questa tela della fraternità la costruiamo insieme: noi missionari di frontiera e voi comunità che ci ha inviato e ci sostiene con la preghiera, con tanto affetto e con la carità. Permettimi di dire un Grazie a tutti, attraverso le onde di Radio Vaticana che mi ha fatto compagnia gli ultimi quattro mesi. Ci avevano dato una radiolina il 20 maggio, proprio, provvidenza, il giorno del mio compleanno. Certo avrei preferito che ci avessero dato la notizia della liberazione che invece abbiamo dovuto attendere, ma ogni sera, ascoltavo Radio Vaticana, e, soprattutto il sabato, mi dava quello spunto spirituale del Vangelo che non avevo a portata di mano.
“Non ho che da dirvi, Grazie”
Ecco, io vorrei dirvi grazie per quanto fate. E avrei tanto altro da dirvi, ma aspettiamo quando verrò a Roma e forse verrò a farvi visita. Ma, mi avete davvero sostenuto anche con la vostra emissione e con le notizie che ascoltavo con vera sete, perché mi avete aperto una finestra nella prigionia che noi italiani chiamavamo “bis bis”, perché eravamo davvero in isolamento stretto stretto, senza alcuna comunicazione con l’esterno. Non ho che da dirvi grazie: grazie, grazie, grazie a quanti mi hanno sostenuto con la preghiera e grazie a Dio. Dio ha ascoltato la nostra preghiera.