“Padre, mi insegna come pregare meglio?”
La gente rimane sempre sorpresa quando rispondo “No”, per cui devo offrire una spiegazione. Dico: “Gesù non ha mai detto ‘Pregate meglio’. Non ha mai detto ‘Pregate bene’. Non ha detto nemmeno ‘Pregate spesso’. Ha detto di pregare ‘sempre’” (Luca 18, 1).
È difficile che qualcuno trovi questa risposta soddisfacente. Queste anime sincere e benintenzionate desiderano Dio, vogliono compiacerlo, e sanno che la preghiera è una parte indispensabile della vita cristiana. In qualche modo, tuttavia, hanno accolto l’idea per la quale per progredire nella vita cristiana bisogna “pregare meglio”. Ho capito che con “pregare meglio” intendono quasi sempre “Voglio imparare come essere sicuro di avere buoni sentimenti durante la preghiera” (Vedete come funziona? “Buoni sentimenti nella preghiera” = “Buona preghiera;” “Mancanza di buoni sentimenti nella preghiera” = “Cattiva preghiera”). Dico a tutte queste persone che la qualità della preghiera di una persona è strettamente legata alla propria fedeltà alla preghiera – in altre parole, la preghiera è buona quando si mantiene la promessa di pregare.
L’ultima osservazione sulla preghiera (nella fattispecie, che la qualità della preghiera sia legata alla fedeltà ad essa) porta spesso a un fraintendimento. Il ragionamento errato funziona così: “Se la qualità della preghiera è collegata alla fedeltà alla preghiera quando è il momento di pregare e voglio pregare meglio, allora dovrei provare la mia fedeltà alla preghiera trascorrendo più tempo in preghiera”. Questo tipo di ragionamento può portare a struggimento e frustrazione.
Un’immagine: una donna che conosco si lamentava con me per la sua miserevole vita di preghiera. In base alla sua descrizione di come voleva pregare, voleva chiaramente farlo come se fosse una carmelitana claustrale. Aspirazione nobilissima, ma… era sposata e aveva quattro figli ancora con il pannolino. Era fortunata se riusciva a usare il bagno. Ore e ore di meditazione erano semplicemente impossibili per lei. Le ho detto che avrebbe dovuto imparare come pregare quando e come poteva, nei limiti dello stato di vita al quale Dio l’aveva chiamata e per il quale Dio avrebbe fornito la grazia.
Si tratta di un’osservazione vera, ma non è immediatamente utile a nessuno, perché è troppo vaga. È come dire “Fai il bene ed evita il male”, al che la risposta dev’essere “Sì, ma come?”
Torniamo a Luca 18, 1, quando Gesù dice ai Suoi discepoli di “pregare sempre, senza stancarsi”. Com’è possibile pregare sempre? Non abbiamo sempre innumerevoli cose che esigono la nostra attenzione ed energia, come cambiare pannolini, preparare i pasti, scrivere libri, portare i bambini a calcio, ecc.? Sì, certo.
E non è forse vero che la storia cristiana è piena di esempi di persone che si isolano (eremiti), si inclaustrano (monaci) o si allontanano almeno un po’ dalla vita quotidiana per svolgere un ritiro? Sicuramente! Come gesuita, io stesso ho fatto un ritiro di silenzio di 30 giorni – due volte. Ad ogni modo, Gesù ci ha detto di pregare sempre. È sicuramente positivo che ci siano dei ritiri, dei monasteri, periodi di preghiera privata e comunitaria e così via, ma non dobbiamo dimenticare che Gesù ci ha detto di pregare sempre. Come possiamo farlo?
Possiamo prendere qualche spunto dal mio ultimo mentore filosofico, Paul Weiss. Gli è stato chiesto se Dio ama le persone religiose più di quelle che non lo sono. La sua risposta è stata illuminante. Ci ha chiesto di pensare a due bambini – uno sveglio, l’altro addormentato. Un genitore ama uno dei due di più? Assolutamente no. Ma il bambino sveglio può soddisfare l’amore del genitore in un modo in cui quello addormentato non può. Allo stesso modo, una persona religiosa è “sveglia” per Dio in un modo in cui la persona non religiosa non è. La persona religiosa può soddisfare l’amore di Dio nel modo in cui lo scettico, l’indifferente o l’ostile al divino non può. Cosa possiamo imparare dall’osservazione di Weiss?
Chi è religiosamente “sveglio” può pregare sempre. Una persona del genere può, come suggerisce il titolo del classico spirituale di padre Lawrence della Risurrezione, “praticare la presenza di Dio”.
Padre Lawrence scrive che “la Presenza di Dio è il nostro spirito in contatto con Dio. È capire che Dio è presente, reso noto a noi con l’immaginazione o con la comprensione”. Attraverso la comprensione, possiamo accettare la verità del concetto per cui siamo sempre alla presenza di Dio (cfr. Salmo 139 e le Confessioni di Sant’Agostino). Dio è onnipresente, quindi, ovunque siamo ci troviamo di fronte a Dio.
Attraverso l’immaginazione, possiamo raffigurarci nella compagnia costante del nostro amorevole Padre, che si diletta nei Suoi figli, offrendo sempre il Suo amore e la Sua guida. Penso che sia particolarmente fruttuoso fare un uso simile della nostra immaginazione. Tanti cristiani che incontro si comportano come orfani spirituali, vivendo in un mondo che non offre loro protezione. Ancor più tristi sono forse quei cristiani che pensano di essere alla costante presenza del Divino Tiranno, che deve essere sempre placato e il cui amore deve essere guadagnato – se mai è possibile.
Se dobbiamo pregare sempre, come ha detto Gesù, dobbiamo imparare a vivere alla presenza di Do, che è il nostro Padre amorevole che vuole il meglio per noi. Dobbiamo imparare ad essere aperti a un misticismo dell’immediatezza, ovvero dobbiamo essere aperti e attenti alla rivelazione di Dio di Sé in ogni momento e in ogni circostanza. Dio non smette di lavorare alla creazione e non smette di parlare alla creazione. Se solo i nostri occhi e i nostri cuori fossero aperti per vederLo…
Ovviamente, il fatto di trovare Dio in tutte le cose, includendo le questioni quotidiane, i momenti di crisi e i periodi gioiosi e dolorosi, deve essere unito a un “ritiro dalla lotta” per poter stare da soli con Dio, che è sempre con noi. È questo che intendono i gesuiti quando parlano di Dio definendosi “contemplativi nell’azione”.
L’unica preghiera buona è pregare sempre. In ogni momento, anche nel più caotico e improbabile. Dio è all’opera e può essere trovato. Quell’apertura a trovare Dio in ogni momento deve essere rafforzata dalla libertà necessaria a ritirarci, nel modo permesso dalle circostanze, per poter avere del tempo da trascorrere da soli con Cristo. Possiamo sempre avvicinarci a Dio, sempre e ovunque, ma la saggezza dei santi e delle Scritture ci insegna che a volte per avvicinarci a Dio dobbiamo ritirarci dal mondo, almeno per un po’.
Pregare meglio? No. Pregare di più? A volte. Pregare sempre? Sì! Come ha ordinato il Signore!
[box]Padre Robert McTeigue, S.J. è membro della provincia del Maryland della Compagnia di Gesù. Docente di Filosofia e Teologia, ha una lunga esperienza in direzione spirituale, ministero di ritiri e formazione religiosa. Insegna Filosofia presso la Ave Maria University ad Ave Maria, Florida, ed è noto per le sue lezioni di Retorica ed Etica Medica.[/box]
A cura di Redazione Papaboys fonte: Aleteia
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