«Avrebbe tenuto i contatti con Panaro quando era vice parroco a Villa Literno». Nicola Panaro è accusato di essere un boss del clan dei ‘casalesi’ in cella da molti mesi e tornato alla ribalta, martedì mattina, per l’indagine sulla sua latitanza che coinvolge altre 14 persone. L’uomo che avrebbe tenuto i contatti, invece, è don Carmine Schiavone, un giovane sacerdote della diocesi di Aversa. Data in questi termini la notizia non può che preoccupare. Le cose, però, non stanno così. Don Carmine, nato a Casal di Principe, porta, come tanti altri, un cognome che pesa. Nei nostri paesi ci conosciamo tutti. Il sacerdote ancora di più. A Villa Literno, centro poco distante da Casale, don Carmine entra presto nelle case e nella vita delle famiglie della parrocchia. Impara a conoscere nomi e volti. Storie e speranze. Un prete sa molto di più di ciò che dice o può dire. Nel gran segreto della confessione e della direzione spirituale gli vengono rivelati i misteri più profondi del cuore dell’uomo. Discernere è il verbo che un prete deve saper coniugare in tutti i modi e in tutti i tempi. Quante volte ha saputo recuperare un prezioso filo d’oro da una matassa aggrovigliata di fil di ferro arrugginiti. Questo lavoro minuzioso, paziente, faticoso il prete si ritrova a farlo in continuazione. Lui vede davanti a sé sempre e solamente una persona. Un uomo creato a immagine somiglianza di Dio. A prescindere dalla sua parentela, dalla sua storia, dal suo peccato. A Villa Literno don Carmine entra in contatto con Maria Consiglia Diana, moglie del latitante Nicola Panaro. La signora volentieri si ferma a parlare con questo sacerdote che ha il dono di saper accogliere e ascoltare le persone senza dare segni di noia o di stanchezza. Ciò che si dicono a nessuno è lecito sapere. Don Carmine non ha mai conosciuto Nicola, il marito di Maria Consiglia. Un giorno sente di scrivergli una lettera: «Ho appena terminato di celebrare un funerale… sto davanti al Crocifisso e prego per te…», e l’affida alla sua signora. Tutto qua. Lunedì il vescovo di Aversa, Angelo Spinillo, invita i preti più giovani a stare due giorni insieme. Due giornate di riposo e di spiritualità. Condivisone e amicizia. La serenità viene, purtroppo, interrotta nelle prime ore del mattino di martedì. Arriva la polizia. Cercano don Carmine. I giovani preti vanno nel panico. Il santuario della Madonna di Briano è in subbuglio. Che cosa sarà successo? Di che cosa si è potuto macchiare il loro amico? È successo che Nicola Panaro è stato arrestato e in casa è stata ritrovata la famosa lettera che don Carmine gli scrisse. Come un fulmine si sparge la notizia. «Procurata inosservanza della pena»: questa l’ipotesi del reato. Penso alla lettera aperta che scrissi qualche mese fa al collaboratore di giustizia Carmine Schiavone, omonimo del mio confratello sacerdote. La lettera iniziava così: «Carmine, fratello mio…» e terminava con un «Ti benedico». Ebbe modo di leggerla. Mi fece sapere che era disposto a incontrarmi. Nel salutarmi mi disse che era stato molto colpito dal fatto che lo chiamassi «fratello mio» e, anziché maledirlo, io lo avessi benedetto. Il prete è un uomo abitato dal Mistero. Di lui non sempre è possibile capire tutto con la logica del mondo. Obbedisce a dei comandi che a volte non sono chiari nemmeno a se stesso. Sente di doverlo fare. Sovente sa di correre dei rischi. Non sempre riesce a mettere insieme la prudenza con la carità. Il prete non è mai un complice e mai un mero accusatore. Lui i delinquenti li deve convertire. Spetta a chi di dovere arrestarli. Di un prete tutti si debbono fidare. Persino il criminale più incallito. Egli annuncia una Parola che ha più forza di una bomba. Che riesce a scuotere anche i cuori più induriti. Il prete lo sa bene, ed è su questa forza – non sulle sue – che fa affidamento. È legittimo che si indaghi, ma sarebbe bello avere tutti memoria e consapevolezza di chi è e Chi rappresenta un prete che cerca le sue pecore. Da un prete che si prende cura della famiglia di un latitante e, davanti al Crocifisso, prega per lui, credetemi, non abbiamo niente da temere. Ma soltanto da imparare”.
Padre Maurizio PATRICIELLO
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