Celebriamo oggi la festa della “Presentazione di Gesù al tempio”; in questo giorno, ricordando l’offerta che Maria e Giuseppe fecero del figlio Gesù, preghiamo per i religiosi, coloro che hanno offerto la propria vita, in modo completo e generoso, per la causa del Regno di Dio, nella Chiesa e per il bene dei fratelli.
Provo a spiegare cosa è la vita consacrata, prendendo spunto dall’introduzione dell’esortazione post-sinodale Vita Consacrata del santo papa Giovanni Paolo II del 1996. Un dono del Padre alla sua Chiesa, un dono escatologico perché richiama le realtà future; un dono cristologico, perché le caratteristiche del Maestro rivivono nella Chiesa attraverso i voti di castità, povertà, obbedienza.
Ma come nasce una vocazione religiosa, perché una ragazza o un ragazzo, avvertono nel cuore la famosa “chiamata”?
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E’ un mistero, un mistero che non puoi spiegare, infatti, quando me lo domandano, inizio a balbettare a dire parole vaghe che non esprimono tutto ciò che ho nel cuore. C’è un momento, però, essenziale della vocazione, comune a tutti, ed è un incontro particolare. Il giorno in cui vedendo quel monaco, quel frate, quella suora, avverti una sensazione strana e ti convinci che devi essere anche tu così, a tutti i costi.
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Accadde questo anche per il piccolo Francesco Forgione, il nostro amato san Pio da Pietrelcina.
Aveva poco più di dieci anni, quando, giocando nella piccola casetta di campagna, alla periferia di Pietrelcina, chiamata Piana Romana, vede arrivare un uomo strano. Un frate, diverso dal prete del paese, questo ha una lunga tonaca marrone tutta rattoppata, un mantello per coprirsi, porta i sandali, anche se il freddo è pungente, una rozza corda come cinta, in mano la corona del Rosario e sulle spalle una pesante bisaccia, carica di viveri per il convento e i bisognosi. La cosa che colpisce e impressiona maggiormente il piccolo, invece, è la folta barba nera. È un frate minore cappuccino, viene dal convento di Morcone (Benevento), arriva fino a Pietrelcina a piedi o con qualche mezzo che la provvidenza offre, per fare la questua. Bussa di porta in porta, cercando, per amor di Dio, qualcosa da mangiare per i frati e per i mendicanti del paese. È fra Camillo da Sant’Elia a Pianisi (1871-1933), cappuccino della provincia religiosa di Foggia, chiamata allora di Sant’Angelo, oggi Sant’Angelo e Padre Pio, uomo semplice, ricco di virtù, forgiato dalla preghiera continua e dalla penitenza. Scambia qualche chiacchiera con il piccolo di casa, e non manca mai di donare una parola buona, una preghiera, qualche santino e delle noci. Questo è per il nostro Santo l’incontro decisivo, lui, che già a cinque anni parlava con la Madonna e avvertiva la vocazione, grazie a questa presenza umile e povera, capì che doveva diventare “monaco con la barba”. Aveva circa quindici anni, Francesco Forgione, quando iniziò le trattative familiari e burocratiche per lasciare casa e consacrarsi per sempre al Signore. Consacrarsi non in un ordine qualunque ma in quello dove i monaci portano la barba. Lo zio Pellegrino, finalmente, scrive al Superiore dei cappuccini di Foggia, il quale dopo poco tempo, risponde dicendo di pazientare, perché il noviziato è pieno. Ecco allora che le persuasioni iniziano.
Alla famiglia di san Pio i cappuccini non piacciono, sono troppo magri, troppo poveri, e loro per il figlio vorrebbero il meglio, come qualsiasi genitore. Le proposte sono varie, i monaci biancovestiti di Monte Vergine, che come disse lo zio, portano scarpe e cappello, oppure i Redentoristi, i frati minori dell’Osservanza o il clero secolare. Francesco è deciso, monaco con la barba! Dopo un paio di mesi arriva la risposta, alcuni posti si sono liberati. Francesco è pieno di gioia, finalmente può realizzare il suo sogno: essere tutto di Dio! Il giorno della partenza è fissato per il sei gennaio. Tornato a casa, dopo la celebrazione dell’Epifania in parrocchia, trova l’abitazione piena di gente triste, tutti piangono per la sua partenza. Anche mamma Peppa piange. Mentre lo saluta, lo stringe forte al cuore, come solo una mamma sa fare e lo benedice dicendo: “ Figlio mio, tu mi stracci il cuore! Ma non pensare a me: san Francesco ti ha chiamato e vai!”. Sarà lo stesso padre Pio, anni dopo, a raccontare l’episodio. Una gioia ancora più grande provò Francesco.
Entrando nel convento del santo noviziato, tra i frati che lo accolsero, riconobbe immediatamente la barba di fra Camillo. I due s’incontrarono e salutarono con tanto affetto, quasi come amici di vecchia data, fedeli a un appuntamento, a una promessa, presa in quei giorni freddi e solitari nelle campagne di Piana Romana. Fu così che san Pio capì quale doveva essere la strada su cui seguire il Maestro.
La semplicità di un frate, il segno austero e rude di una barba nera, ha fatto innamorare il “padre spirituale” dell’Ordine del Poverello di Assisi. Padre Pio porterà sempre nel cuore la figura di questo frate che visse con lui per un anno nel convento di Morcone.
E quando anni dopo, ai suoi figli spirituali, che chiedevano come fosse nata la sua vocazione, san Pio rispondeva: “ la barba di fra Camillo si era ficcata nella mia testa e nessuno mi poté smontare”.
Il Signore parla, il Signore chiama, il Signore non abbandona la sua Chiesa, donando sempre Ministri del Vangelo. Segni piccoli e concreti che si presentano nella vita ordinaria, mentre ognuno di noi è “indaffarato” nei propri progetti, ecco che il Maestro, ti guarda, ti sceglie e ti invita : “ vieni! Seguimi!”…e questo può accadere anche solo guardando una barba!
di Fra Daniele Moffa per Redazione Papaboys