Padre Slavko Barbaric, storico parroco di Medjugorje, lavorò instancabilmente con i pellegrini che li giungevano, sin dal momento in cui portò a termine gli studi nel 1982. Egli fu trasferito ufficialmente a Medjugorje nel 1983. Su richiesta del vescovo Zanic, nel 1985 fu assegnato alla parrocchia di Blagaj, nel 1988 a Humac, dove ricopri l’incarico di cappellano ed aiuto insegnante dei novizi.
All’inizio della guerra in Bosnia – Erzegovina, quando tutti i frati più anziani andarono a Tucepi come esuli, P. Slavko rimase a Medjugorje, con l’approvazione verbale di P. Drago Tolj, provinciale dell’epoca.
Sin dall’inizio della sua attività a Medjugorje, egli si era dedicato alla scrittura di libri di contenuto spirituale: “Pregate col cuore”, “Dammi il tuo cuore ferito”, “Celebrate la Messa con il cuore”, “Alla scuola dell’amore”, “Adorate mio Figlio con il cuore” “Con Gesù e Maria sul Golgota verso la Resurrezione”, “Pregate insieme con cuore gioioso”, “Madre, guidaci alla pace”, “Seguimi col cuore”, “Colloqui” e “Digiunate con il cuore”, che sta per essere pubblicato proprio in questi giorni. I libri di P. Slavko Barbaric sono stati tradotti in venti lingue, con oltre 20 milioni di copie vendute in tutto il mondo. Slavko Barbaric è andato alla casa del Padre il 24 novembre 2000. Dopo aver completato il rito della Via Crucis, che come ogni venerdì eseguiva insieme ai pellegrini ed ai parrocchiani, aveva iniziato ad avvertire dolori. Si era seduto su un masso, si è rapidamente accasciato, ha perso conoscenza ed ha reso l’anima al Signore.
Credo che ognuno di noi si sia posto una domanda che lo ha torturato e ancora lo tortura: “Perché esiste il peccato? Perché ci sono cose proibite e che si considerano peccato?”.
Sono convinto che solo pochi di noi sono stati esentati dal dubbio: “Può darsi che il peccato sia solo un’invenzione creata solo per farci spavento, per tenerci legati, per imporci più facilmente degli ordini”. Non abbiamo forse covato in qualche recesso della nostra anima il dubbio che il peccato lo hanno creato i vecchi, i genitori, i preti, la Chiesa o altri che si sono riferiti a Dio per esercitare con maggior facilità il proprio potere?
Può darsi che tutto appaia più chiaro se vi racconto dell’esperienza che porto dentro di me.
Fin dagli anni di seminario mi torturava un interrogativo che pure sembrava tanto semplice: “Perché qualcosa è peccato?”. Non ho mai osato porre questa domanda agli altri perché pensavo che essa avrebbe potuto farmi diventare, se non stupido, sicuramente ateo. Eppure tale quesito, come un’ombra nera, mi ha perseguitato e tormentato durante tutti gli anni di studio.
Quando sono diventato sacerdote ho cercato di prendere seriamente la Santa Confessione. Ma il mio interrogativo si faceva più complesso. Ascoltare le molte esperienze altrui faceva sì che avvertissi nel mio intimo che parecchi non avessero compreso veramente in che cosa consiste il peccato. E quando si confessavano, passavano facilmente oltre, per cui non si aveva la certezza che fosse sincero pentimento.
Da giovane sacerdote, poi, ho avuto una profonda crisi. Mi chiedevo: “Perché la Confessione?”. Dall’altare si annuncia la lieta novella. Si parla di peccato e si prega affinché si arresti l’abitudine al peccato. Eppure, molto di rado sentivo qualcuno in confessione riferirsi alla Parola di Gesù o all’Omelia e dimostrarsi convinto dell’urgenza di smettere di peccare. Mi sono allora chiesto nel profondo della mia anima: “Che senso ha fare le prediche? Perché confessare?” Tentavo di vedere almeno qualche differenza tra una confessione e l’altra. E poiché non riuscivo mai a distinguerne una, la domanda dentro di me diventava sempre più complessa ed intricata.
Ora mi rendo conto che qui ha inizio il dramma del ministero del sacerdote, cioè quando egli non riesce a dare un’identità, un significato alla sua missione. Allo stesso modo anche molti cristiani hanno difficoltà con la confessione, soprattutto i giovani! Incontrano gli stessi ostacoli! E si ripropone lo stesso dramma: “Perché devo raccontare quello che mi succede al sacerdote?”.
Accade quindi che molti si limitano solo a cose superficiali, considerano l’apparenza e non la sostanza, così che nascondono e tacciono ciò che è realmente essenziale. E’ successo di sicuro a tutti i giovani. Particolarmente negli anni di maturazione e dello sviluppo in generale. E’ proprio in questo periodo, infatti, che parecchi hanno smesso di confessarsi. Ed ecco così l’amarezza e l’inquietudine del sacerdote: coloro che si devono confessare non si confessano e, quelli che lo fanno, prendono la cosa con faciloneria e leggerezza!
Mi ricordo bene di una credente che mi aveva chiesto di parlare della Confessione, mettendo però bene in chiaro il fatto che non voleva confessarsi. La sua prima domanda fu: “Perché mi devo confessare ad un sacerdote che è un uomo come me? Io lo faccio direttamente con Dio”.
Mi sono fermato un momento. Sono rimasto stretto in una morsa. Questa era anche la mia domanda!… Non sapevo nemmeno io come rispondere. Allora le ho detto: “Anch’io ho lo stesso problema con la Confessione. Perché le persone si devono confessare ad un sacerdote che è solo un uomo? Può darsi che sia solo perché i sacerdoti sono curiosi e vogliono scoprire quello che avete fatto! Penso che nessuno dica poi qualcosa di nuovo. Il sacerdote conosce tutti i peccati, tutti i fatti degli uomini. Questo è il mio problema anche dal mio punto di vista!”.
Allora, anche lei si è fermata e nello stesso momento ci siamo capiti: qui nel Sacramento c’è qualcosa di diverso.
Non si tratta semplicemente del perché confessarsi, ma anche di qualcosa di più profondo.
Si tratta di un incontro, il più straordinario che ci sia: l’incontro con Cristo che è nel più meraviglioso dei modi l’incontro tra il ferito ed il medico, tra il peccatore ed il Santo, tra l’offeso ed il Consolatore, tra uno che è degradato e Colui che risolleva i degradati, tra uno che ha fame e Colui che sazia ogni digiuno, tra uno che si è perso e Colui che lascia le novantanove pecorelle per cercare quella sola smarrita!
Insomma, l’incontro tra uno ormai al buio e Colui che afferma di essere la Luce.
Tra uno che è senza strada e Colui che disse di essere la Via.
Tra uno che è morto e Colui che assicura di essere la Vita.
Tra il solitario e Colui che vuol essere l’amico più vero. Parlammo molto e allo stesso tempo guarivamo insieme e riuscivamo a penetrare il senso della confessione.
Fonte: Padre Slavko Barbaric. DAMMI IL TUO CUORE FERITO.
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