«Onorevoli primo ministro e presidente dell’India sono profondamente rattristato perché nessuna seria azione è stata intrapresa per ottenere la mia liberazione», è costretto a dire il salesiano, nel filmato di poco più di cinque minuti. Poi aggiunge: «La mia salute peggiora. Devo essere ricoverato in ospedale al più presto. Vi prego, aiutatemi presto».
«Caro papa Francesco, per favore abbi cura della mia vita. E chiedo anche agli altri vescovi di venire presto in mio aiuto. Forse nessuna iniziativa seria è stata intrapresa – ha dovuto sottolineare – perché vengo dall’India. Se fossi stato un prete europeo, sarei stato preso molto più sul serio».
Il religioso, originario del Kerala, è stato sequestrato nel corso dell’attacco jihadista alla casa di riposo gestita dalle Missionarie della Carità nel sud dello Yemen: quattro suore sono state assassinate. Monsignor Paul Hinder, vicario apostolico dell’Arabia meridionale, ha detto a Radio Vaticana che la comunità prega con fervore per il sacerdote. E chiede al mondo di non dimenticare il dramma del sud dello Yemen. «Non si tratta solo dei cristiani – ha affermato –. È tutto il popolo a soffrire, ad avere fame, senza cure mediche, tanti bambini muoiono». La sua tragedia mi torna in mente mentre rimbalzano nel mondo continui nuovi dati agghiaccianti sulla strage di Istanbul. Mi chiedo se, come Padre Tom che se ne lamenta esplicitamente, le centinaia di morti quotidiane vittime di un sistema economico e sociale profondamente ingiusto e criminale non avrebbero anch’esse diritto alla nostra indignazione; oppure, penso alle vittime del paco e delle droghe nelle favelas, ai profughi ammassati nei campi in Africa e Palestina, alle guerre dimenticate. Penso ai tamil che vivono accampati sotto gli alberi a pochi metri dagli alberghi di Colombo e ai bambini di strada di Manila. Ha ragione padre Tom, se fosse europeo il suo caso sarebbe in prima pagina. È vero. È tragicamente vero. Quando le disgrazie hanno la nostra stessa faccia, razza, religione, indirizzo, quando le cose capitano vicino a noi e vicino a casa nostra o sulla porta di casa nostra siamo tutti più pronti ad indignarci, a correre in piazza, a cambiare la pic nei social e a scrivere “siamo tutti…” il morto di turno, la tragedia di turno”.
Il dolore di Padre Tom lontanissimo da noi geograficamente culturalmente – anche se ha la nostra stessa fede e soprattutto, prima ancora di essere cattolico è un nostro fratello – è stato soffocato mediaticamente e socialmente da altre tragedie e morti che hanno funestato il mondo e la nostra Europa. Detta così la nostra memoria, corta sulle sofferenze lontane, è veramente vergognosa.
Purtroppo questo è vero anche per la nostra vita quotidiana.
La morte del figlio di un amico carissimo ci leva il sonno e la pace ma non come se a morire fosse figlio. Non è una giustificazione ma è la realtà. La nostra vita, il nostro cuore, il file dove mettiamo le cose insostenibili della nostra vita, non hanno una capienza illimitata. Non ce la facciamo a reggere il dolore del mondo come se fosse il dolore della nostra carne. Ma lo scandalo non sta in questo, non sta nell’essere freddi o caldi, sta nell’indifferenza.
Quello che temo di più per me e per tutti, non è il non voler sapere più nulla di tutto il male che ci sommerge, che ci affoga il sonno e la veglia con la paura di esserne travolti, di non riuscire a risvegliarsi e a vedere l’alba, quello che temo di più è che, finito questo articolo, davvero mi scorderò di Padre Tom e la prossima volta che me lo ricorderanno invece di vergognarmi e di pregare subito in silenzio senza parole inutili, sarò magari capace di scusarmi con me stesso perché “in certe parti del mondo si vive e si muore così”.
E non è una questione cattolica, di persecuzioni religiose, anche se i religiosi e i cattolici sono stati martirizzati come non mai in questo secolo.
È una questione umana, profonda. Non voglio pensare e vivere da assediato dal male e dal dolore, non voglio esorcizzare la mia paura, la mia stanchezza di fronte al male. Voglio sentirla come mia qualsiasi colore abbia, qualsiasi religione professi, qualsiasi sia il suo indirizzo nel mondo.
E l’unico modo per farlo è accettare che ogni tanto me ne dimentichi per difesa ma con il desiderio però di, molto più spesso, ricordarmene nel silenzio. Il silenzio non è assenza, non sempre. È qualcosa di vuoto che riempio con la mia inadeguatezza, con le mie parole inutili, con i miei pensieri che girano a vuoto,
La vera reazione, forse, è di prendere coscienza che io sono solo un pover’uomo ed è per questo che affido a Dio i miei silenzi e i miei vuoti. Lui è l’unico che può colmare differenze, distanze, miserie, fragilità, paure. È l’unico che non dimentica padre Tom e che fa di ogni minima preghiera, anche la più distratta, un ponte tra lui e noi e tra di noi.
Noi siamo lontani ma lui è il Dio vicino.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da IlFaroDiRoma
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