“Le minoranze religiose in Pakistan, e in particolare i cristiani, sono diventati bersaglio costante di masse di estremisti”: lo afferma, in una nota inviata a Fides, Ijaz Inayat Masih, Vescovo anglicano di Karachi, lanciando un allarme sul deteriorarsi della condizione delle minoranze religiose nel paese. “Negli ultimi anni – afferma – le minoranze religiose sono state prese di mira, i loro villaggi dati alle fiamme, accusate in falsi casi di blasfemia, vittime di intimidazioni, matrimoni forzati e conversioni forzate. Anche avvocati, giudici e membri di Ong che difendono le vittime sono malmenati e perseguitati”. Il Vescovo ricorda il caso del giudice dell’Alta Corte di Lahore, Iqbal Bhatti, che aveva assolto il cristiano Salamat Masih in un processo per blasfemia: il giudice è stato ucciso fuori dal palazzo di giustizia nel 1996. La blasfemia è un punto dolente: “Quando un cristiano è accusato di blasfemia, si raduna la gente di un quartiere per punire l’imputato, bruciandolo vivo o linciandolo. La polizia e il governo non hanno mai punito atti del genere. Il Vescovo cita la responsabilità delle istituzioni, parlando di “atteggiamento letargico di Polizia, Procura e magistratura”. Dopo l’uccisione del giudice Iqbal Bhatti, la Polizia spesso fa propria la necessità di difendere l’islam, prendendo le parti degli estremisti o cedendo alle loro pressioni. Il risultato, spiega il Vescovo, è un gran numero persone in carcere, in base ad accuse false o a processi sommari. Il Vescovo rende nota una nuova, sottile forma di pressione psicologica: gli estremisti prendono di mira dei cristiani e cercano di estorcere loro denaro, minacciando una fatwa contro di loro, usando la religione islamica per ricattarli. Diversi casi del genere, nota, sono avvenuti a Karachi, definita “una roccaforte degli estremisti islamici”. Il Vescovo Ijaz Inayat Masih conclude lasciando aperto l’interrogativo se il paese vuole continuare a tenere in vigore lo stato di diritto.
Sempre dal Pakistan arriva un’altra notizia molto triste. Un giovane cristiano è morto a causa delle vessazioni subite in caserma ad opera delle forze dell’ordine che lo avevano accusato senza prove sostanziali di aver compiuto un furto. Era stato adocchiato a motivo della sua fede, pagando a caro prezzo l’appartenenza religiosa. Per la polizia si sarebbe suicidato “impiccandosi”; tuttavia, dai referti medici emerge un’altra verità, che racconta di una morte dovuta alle “gravi ferite interne” causate da “torture e abusi”. È la terribile vicenda che ha visto coinvolto il 24enne cristiano pakistano Sabir Masih. Per estorcergli la confessione, gli agenti non hanno esitato a ricorrere all’uso della forza, infliggendogli lesioni risultate poi fatali. La Chiesa cattolica e membri della società civile chiedono giustizia, punizioni esemplari per i responsabili e la fine delle morti violente di semplici cittadini, vittime innocenti dei cosiddetti tutori dell’ordine. Sabir Masih, padre di due figli, era stato arrestato l’11 febbraio. Gli agenti lo hanno condotto nella caserma di Kohsar, a Islamabad, peraltro giudicata di recente – dopo una profonda opera di restauro – una stazione di polizia “modello” per efficienza, rispetto delle procedure e umanità verso i sospetti. Il giovane era stato trattenuto per la notte e interrogato a lungo. La famiglia è subito corsa in caserma per raccontare l’estraneità al furto, avendo trascorso l’intera giornata al lavoro per poi fare ritorno a casa. “Egli non ha commesso alcun crimine” hanno gridato a gran voce, invano. La polizia ha usato la forza per estorcere la confessione – una pratica spesso usata in Pakistan in casi analoghi – fino a provocare ferite interne così gravi da causare la morte di Sabir, avvenuta nella notte fra l’11 e il 12 febbraio. di Giovanni Profeta