Asia Bibi, la donna cristiana pakistana condannata a morte per blasfemia è detenuta da oltre 2.200 giorni nel carcere di Multan, nella provincia del Punjab. In attesa del pronunciamento della Corte Suprema, che potrebbe decretarne la scarcerazione, resta alto il rischio sull’incolumità della donna, sulla quale penderebbe una taglia, equivalente a soli 80 euro, per chi, in cella o dopo l’eventuale scarcerazione, la uccidesse. A denunciarlo è suo marito, Ishaq Masih, in un’intervista ai media britannici. Sulle condizioni attuali della cinquantenne pakistana, Elvira Ragosta ha intervistato Paul Bhatti, presidente dell’Alleanza delle minoranze religiose pakistane ed ex ministro pakistano delle Minoranze:
R. – Asia Bibi è in prigione, è sotto pressione … è una donna povera, lontana dai suoi figli … questa è la sua situazione. E anche la minaccia che lei sa che può morire in qualsiasi momento. Chiaramente, ci sono stati momenti di speranza e di delusione, perché a un certo punto, quando il suo caso è stato sentito nel Tribunale di Lahore, sembrava che forse ci fosse qualche spiraglio, che poi dopo non c’è stato più.
D. – Le condizioni in carcere, in questo momento, sono di isolamento?
R. – Sì: lei è in isolamento, anche perché si teme che anche in carcere possano esserci atti di violenza come è accaduto alcuni mesi fa a Rawalpindi, quando uno dei poliziotti ha sparato a due persone che erano state accusate di blasfemia … Comunque, credo che l’organizzazione del carcere e le forze dell’ordine in qualche modo abbiano un’attenzione particolare per Asia Bibi anche in funzione, probabilmente, della pressione internazionale che subisce tuttora il nostro governo.
D. – Quello di Asia Bibi è diventato un caso-simbolo della persecuzione dei cristiani in Pakistan e della controversa legge sulla blasfemia che vige in questo Paese …
R. – Sì. Noi stiamo seguendo il caso di Asia Bibi che però rappresenta la condizione anche di tanti altri cristiani o di altre minoranze. C’è Sawan Masih che è stato accusato dopo l’attentato di Lahore, che è ancora in prigione anche lui; ci sono tantissimi altri giovani che sono stati accusati falsamente e dei quali forse potrei dire che vivono anche peggio! Perciò la cosa nostra è trovare una soluzione al problema per cui possiamo aiutare queste vittime innocenti e possiamo fare in modo che questo tipo di odio possa finire, in Pakistan. Su questo noi stiamo lavorando su vari fronti, con il governo attuale: con il dialogo interreligioso, con il curriculum scolastico …
D. – Molte inchieste indipendenti hanno dimostrato l’estraneità di Asia Bibi alle accuse di blasfemia per le quali è stata condannata; si attende adesso il pronunciamento della Corte Suprema. Quali speranze ci sono per una scarcerazione a breve?
R. – Io ho tante speranze! Perché se guardiamo alle statistiche, finora nessuno dei casi con sentenza emessa dalla Corte è stato giustiziato. E questo io credo che succederà anche per Asia Bibi.
D. – Cosa può fare la comunità internazionale?
R. – Io penso che la comunità internazionale più che seguire il caso specifico, dovrebbe unirsi per fare passi concreti in modo che questo odio, queste discriminazioni che stanno nascendo con le persecuzioni dei cristiani ma anche di altre minoranze – pensiamo anche all’Is, a Boko Haram, a gruppi che nascono in nome di una religione e uccidono poi le persone – finiscano. Perché Asia Bibi è un caso, ma ci sono tante persone innocenti, anche giornalisti, che vengono giustiziate o uccise da persone che vogliono imporre una determinata filosofia loro – non dico neanche religiosa, nemmeno radicale: una filosofia terroristica, un’ideologia di violenza … Così, come comunità internazionale – inclusa in modo particolare la Comunità europea – si unisca e faccia dei passi concreti.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana