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Pakistan, se la conversione a Cristo significa morte

Un cristiano ucciso a sangue freddo e sua moglie in fin di vita per motivi di religione e di onore: la donna aveva lasciato l’islam per la fede in Gesù

Apostata lei. Colpevole di aver corrotto e disonorato la donna lui. I coniugi di Lahore, Aleem Masih, 28 anni, e Nadia Din Meo, 23enne, avevano una sorte segnata in Pakistan. I parenti di Nadia, dopo il matrimonio dei due giovani e la conversione della ragazza al cristianesimo, non hanno sopportato «l’onta» di avere in famiglia una donna divenuta cristiana. E così, dopo una caccia spietata, hanno commesso un omicidio a sangue freddo. Entrambi i giovani sono stati raggiunti da colpi d’arma da fuoco. Aleem è morto sul colpo. Anche Nadia doveva fare la stessa sorte ma, salvatasi miracolosamente, oggi è in ospedale dove lotta tra la vita e la morte.

Come riferisce a Vatican Insider l’avvocato Aneeqa Maria Anthony, coordinatrice dell’Ong «The Voice», che sta seguendo il caso fornendo assistenza legale, la complicità e l’omertà per un assassinio da molti ritenuto «giusto e meritato» fanno sì che facilmente i colpevoli godranno di impunità. L’apostata, infatti, secondo la legge islamica non ha scampo e merita la morte.

Stessa sorte per chi ha portato Nadia «sulla via della perdizione», ossia alla fede cristiana.

«La famiglia di Nadia – racconta l’avvocato – era angosciata perché la ragazza, convertitasi, aveva rovinato la reputazione della famiglia. I parenti hanno cominciato a minacciare i due giovani che, per salvarsi, sono fuggiti a Narang Mandi, a 60 km da Lahore. Anche la famiglia cristiana di Aleem Masih è stata più volte insultata e minacciata e ha denunciato il tutto alla polizia. Ma non c’è stato nulla da fare: il 30 luglio i fratelli e altri membri della famiglia di Nadia li hanno scovati e uccisi sangue freddo».

Aleem è stato raggiunto da tre colpi d’arma da fuoco: alle gambe, alle costole e l’ultimo in bocca. Gli spari hanno colpito Nadia alle costole e al ventre. «Tutti credevano che entrambi fossero morti, mentre i parenti si vantavano di aver ucciso due “cani”: così vengono chiamati in modo dispregiativo i cristiani», dice Anthony. Ma la polizia, giunta sul luogo del delitto, ha constatato che la ragazza era ancora viva, e l’ha condotta all’ospedale di Lahore, dove si trova in condizioni critiche.

«I parenti di Nadia, inoltre, non hanno permesso a nessuno di avvicinarsi alla ragazza e far in modo che potesse rilasciare qualche dichiarazione utile a ricostruire l’accaduto e a riconoscere i colpevoli», aggiunge l’avvocato.

Tuttavia la famiglia di Aleem Masih ha presentato denuncia e, dopo le prime indagini, si è saputo che Muhammad Azhar, uno dei parenti di Nadia, ha confessato l’omicidio di Aleem Masih e il tentato omicidio di Nadia, dicendosi «felice di aver ucciso un cristiano». Il giovane è convinto di «andare in paradiso e di esser ricordato come un eroe, di aver nuovamente restituito l’onore e l’orgoglio alla sua famiglia». L’avvocato Anthony afferma tutto il suo impegno a seguire la vicenda per far sì che non cada nel dimenticatoio e perché i due coniugi cristiani ottengano giustizia.

In palese violazione dei principi sulla libertà religiosa e di coscienza, sanciti anche dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, continuano ad esserci paesi che prescrivono pene draconiane o mandano al patibolo «apostati» che abbandonano l’Islam. L’apostasia (l’abbandono della religione islamica ) è considerata un reato in una ventina di paesi nel mondo, dodici dei quali la puniscono con la pena di morte. Il Pakistan non la prevede per l’apostasia, ma la contempla per la blasfemia, reato che tra l’altro viene imputato con preoccupante disinvoltura, soprattutto per risolvere controversie private.

Nel 2007 alcuni partiti religiosi in Pakistan proposero un disegno di legge che puniva il reato di apostasia con la pena di morte per apostasia per i maschi e l’ergastolo per le donne, ma non riuscì a passare in parlamento. Nel paese, anche se è teoricamente è possibile cambiare religione dall’Islam, in pratica, lo stato cerca di ostacolare il processo e i convertiti dall’Islam sono, tra l’altro, vulnerabili alla legge sulla blasfemia.

Un caso ha fatto scuola: nel 1990 un cristiano convertito dall’islam fu falsamente accusato di aver insultato il Profeta e incarcerato a vita, dopo sentenze dei tribunali in primo grado e in appello. Per questo, riferiscono a Vatican Insider alcuni preti pakistani, vi sono i casi di «cripto-cristiani», persone convertite alla fede in Cristo in segreto.


Di Paolo Affatato per Vatican Insider (La Stampa)

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