TESTIMONIANZE DI FEDE – Intervista di Rita Sberna alla grande attrice Pamela Villoresi che fra i tanti lavori teatrali e cinematografici, ha preso parte al cast del film di Paolo Sorrentino, vincitore di Oscar “La grande bellezza”.
Pamela è molto legata alla figura di Giovanni Paolo II e nella sua vita ha avuto la grazia di incontrarlo e di recitare per lui. Stasera debutta a teatro con uno spettacolo dedicato a Santa Teresa D’Avila.
Infatti la Villoresi, ha portato in scena molti recital cristiani dedicati a Giovanni Paolo II uno fra i tanti s’intitola “E’ tutta intera la luce” tratto dal Canto del Dio nascosto (primo componimento poetico scritto da Wojtyla) e a grandi Santi, mistici come Anna Katerina Emmerik di cui il recital in scena dal titolo “Lacrime di sangue “.
A seguire l’intervista.
Il venerdì Santo del 2004, è stata invitata al Colosseo, per leggere i commenti della via crucis d’innanzi a Giovanni Paolo II. Può raccontarci quest’esperienza?
E’ stato un momento molto emozionante, fra l’altro fu l’ultima Via Crucis alla quale Wojtyla potette assistere personalmente, perché l’anno dopo era troppo malato per recarvisi.
Eravamo io e Arnaldo Foà a recitare i versi della via Crucis al Colosseo e c’era un fiume di gente. Giovanni Paolo II era presente e ci ascoltava mentre recitavamo, anche se noi dalla nostra postazione non riuscivamo a vederlo.
Eravamo colmi di emozione e sapevamo che subito dopo ci avrebbe ricevuto. Mi chiedevo cosa pensasse, Giovanni Paolo II, delle varie stazioni della Via Crucis e delle sofferenze che Cristo ha affrontato prima della crocifissione, soprattutto il distacco dagli altri umani e dal mondo.
Cosa rappresenta per lei la santità di Karol Wojtyla?
La Sua Santità rappresenta una vera festa per il mondo cristiano, tutti l’hanno sentito un padre e la sua assenza è stata un sentirsi orfani. Tutta la gente ha gridato sin dal primo momento “Santo subito” ed il fatto che la chiesa si sia adoprata ad esaudire questo desiderio dei fedeli, secondo me è una grande festa per la cristianità.
Papa Wojtyla, molte volte in vita, ha manifestato questo suo modo di essere oltre l’umano, già vicino agli angeli e alla divinità per mezzo della sua infinita comprensione, con la sua infinita accoglienza. Era già un intermediario verso il cielo, quindi secondo me, la Sua Santità è il giusto coronamento di una vita dedicata alla ricerca di Dio, attraverso l’amore per gli uomini.
Cosa la spinge a portare in scena, nel suo percorso artistico, anche dei testi spirituali?
La voglia di parlare di spiritualità attraverso il teatro, è nata in me molti anni fa. Molti percorsi che ho fatto culturalmente, grazie ai mondi che esploravo attraverso il teatro come quello di Goldoni nel 700 e molti altri… sono stati dei viaggi culturali che mi hanno sempre arricchita tanto.
Contemporaneamente nella mia vita ci sono sempre stati dei percorsi, come quello della ricerca spirituale, da lì è nato in me il desiderio di cercare e di portare questa scoperta e questa ricchezza anche al pubblico, attraverso il mio lavoro.
All’inizio non fu facile, cominciai con dei recital uno dei quali è “Dio maternamente” che è una frase di Mario Luzzi. All’inizio vendere questo recital, fu complicatissimo ma alla fine il pubblico era deliziato e grato di aver assistito.
Da quel momento in poi, ne ho portati tanti in scena ed ho cominciato a collaborare con vari istituti religiosi.
Subito dopo, feci il festival Internazionale della spiritualità che è stato il primo e si chiamava “Divinamente Roma” lo portai anche a New York “Divinamente New York” ma a causa della crisi e della cecità di alcuni nostri amministratori, il festival è stato cancellato già da un anno e mezzo.
Non dispero per il futuro di riprenderlo e recuperarlo.
E’ da vent’anni che desidero fare inoltre, uno spettacolo su Santa Teresa D’Avila, non ci sono mai riuscita, pensavo che forse non ero pronta e per questo non si realizzava.
Invece i Carmelitani specialmente quelli di Brescia tramite Padre Antonio Sicari , Padre Fabio Silvestri e il Movimento Ecclesiale Carmelitano mi hanno commissionato il testo per i 500 anni che faranno a marzo di quest’anno e lo porteremo nelle chiese.
Grazie ai Carmelitani in occasione della canonizzazione di Papa Wojtyla ho portato il recital “E’ tutta intera la luce”, ricordo che c’era il Duomo di Brescia gremito di gente. Grazie a loro ho scoperto che Giovanni Paolo II voleva farsi Carmelitano ma il nazzismo aveva imprigionato e ucciso tantissimi preti in Polonia, per cui c’era bisogno di parroci e pregarono Wojtyla di assumere un altro ruolo.
Come sta vivendo questo tempo forte di Quaresima?
La prima cosa che mi viene in mente è quella di dire che sto vivendo questo periodo riposandomi; il mio lavoro è molto bello ma mi spreme tanto, mi porta in giro per tutta l’Italia a vedere e conoscere tanta gente fantastica, per cui sono rientrata in campagna, e mi sto godendo un momento di recupero e anche di spiritualità attraverso la natura e stando anche al mare.
E’ anche un periodo di studio e di riposizionamento.
Perché scegliere proprio Teresa D’Avila per un progetto teatrale?
Si desidera sempre interpretare i personaggi che ci rimangono nel cuore, ed è difficile spiegare le ragioni di un innamoramento.
Accadde in un giorno di riposo della tournèe spagnola de “Le Baruffe Chiozzotte”: affittai un’auto e me ne andai ad Avila. Era bella, assolata, con le sue rocce rosse e le sue chiese romaniche. E all’ingresso la statua di Teresa: forte, potente. Non siamo abituati a vedere, nell’iconografia cattolica, immagini di donne così forti e imponenti.
Al ritorno comprai il primo libro su di lei “Teresa D’Avila” di Rosa Rossi (una grande ispanista). Restai fulminata dalla sua profondità, dalla sua forza, dal suo coraggio, dalla sua fede così assoluta ed essenziale. Con parole diverse parlava di esperienze che avrebbero potuto narrare anche un maestro Zen, un saggio Sufi o un colto Rabbino. Teresa per me era una sintesi di spiritualità. E poi così umana, così “carnale”. Cominciai a sognare di portarla in scena. E’ stata una gestazione di più di 20 anni.
Lei ritiene il teatro una forma di educazione perché trasmette messaggi efficaci.
Che consiglio vuole dare a tutti quei giovani che sognano una carriera teatrale?
Consiglio ai giovani, di entrare in questo mondo dalle porte ufficiali e da quelle più serie perché le carriere costruite con il sacrificio (come la mia) sono sicuramente più faticose ma sono quelle che durano di più perché vengono costruite pietra su pietra.
Servizio di Rita Sberna