«Questa è terra di nessuno. Le istituzioni non si fanno mai vedere. Ma qui è terribile, è terribile…». Lei, invece, c’è tutti i giorni. È suor Paola, ‘mamma Africa’ per gli 800 lavoratori migranti, in gran parte nigeriani e ghanesi, che vivono, sopravvivono, nel ghetto ‘Tre titoli’ di Cerignola. Cinquanta casolari diroccati della riforma agraria, senza acqua, luce e bagni. Ma i proprietari, o i caporali, si fanno pagare fino a 20 euro al giorno. Non c’è posto per tutti. Così a fianco di alcuni casolari ci sono decine di tendine, mezze rotte, coperte di teli di plastica. E si paga anche per queste.
«Non riesco mai ad abituarmi – dice ancora suor Paola Palmieri, responsabile della Casa della Carità della diocesi di Cerignola –. Guarda come vivono… Eppure sono sempre sorridenti ». Ma la più sorridente è proprio lei, che ha come motto una frase di don Milani: «Fa strada ai poveri senza farti strada». E qui povertà e sfruttamento sono ovunque. Non c’è altro, solo gli africani e la campagna. Ora molto vuota, solo qualche coltura a finocchi. Così tocca andare più lontano, per gli ultimi giorni della raccolta dell’uva e per l’inizio di quella delle olive. Servono le auto. Ma ci pensano i caporali. Si viaggia su strade piene di buche e fango. Per questo i volontari del Progetto presidio della Caritas diocesana (diretta da Giovanni Laino) devono utilizzare un piccolo fuoristrada.
Con noi c’è Stefano Campese, degli Avvocati di strada, gruppo nato nella parrocchia di San Domenico su sollecitazione di suor Paola per difendere i diritti dei migranti, Giuseppe Russo, del Consiglio diocesano Caritas e coordinatore del progetto 8xmille ‘Anche voi siete stati stranieri’, e Giuseppe Leone, mediatore interculturale. Con altri volontari stanno portando avanti il censimento dei migranti e delle loro condizioni. Numerando i vari casolari (siamo a 13 su 50). E ogni giorno affiancando suor Paola, della congregazione delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli. Ci fermiamo al casolare numero 1. «Pochi giorni fa erano in 10, ora sono 30», spiegano. Si dorme a terra. Servono materassi e coperte.
Ma fuori c’è già una decina di tendine. Suor Paola si informa, soprattutto sulla salute di due ragazzi. Per tutti ha un sorriso e una carezza. Li chiama per nome (ma come fa a ricordarli tutti?). Per loro è davvero ‘mamma’. Nel terzo casolare sono in 10, e c’è anche un malato di tumore. «Lo ha scoperto qui, lo stiamo aiutando. Ora sta facendo la chemio», ci spiegano i volontari. «Ibra copriti, non prendere freddo», ripete con dolcezza suor Paola. «Sì mamma, sto attento». Nel successivo vive una famiglia nigeriana qui da 14 anni. Sono cattolici, come gran parte dei migranti del ghetto.
C’è anche un bimbo di 10 anni, che ogni giorno va a scuola nella frazione più vicina «e fa anche il chierichetto», sottolinea con gioia la suora. In un altro casolare stanno cucinando pecora al sugo. Un ragazzo si avvicina, sta perdendo la vista. Suor Paola lo tranquillizza. «Non ti preoccupare ti prenoto una visita oculistica ». Lo accompagna un altro ragazzo, che insiste sul suo stato di salute. «Vedi come si aiutano tra di loro», ci dice la suora. Eppure quest’ultimo giovane vive in una baracca pagando 20 euro per notte. Ma a preoccupare i migranti sono alcune recenti articoli su di loro. Non sono piaciuti. «Non dovete farvi strumentalizzare – li consiglia suor Paola, questa volta molto seria –, siete persone. Se avete problemi chiamateci, dovete avere fiducia in noi». E qui hanno davvero tanta fiducia in questa piccola donna. Che a tutti ripete: «Mi raccomando mercoledì alle 4».
Ogni mercoledì lei organizza la preghiera comunitaria nel casolare-bar, dove c’è anche spaccio e prostituzione. Ma dove le hanno anche fatto mettere una grande croce. «Mi accolgono con gioia. Che bello, coi loro canti e balli». E ci racconta che il vescovo, monsignor Luigi Renna, «ha voluto festeggiare i suoi 50 anni proprio qui al bar». E ora ha anche acquistato un terreno a fianco dove mettere una struttura per pregare e incontrarsi.
E la preghiera arriva anche nei luoghi più difficili. In un casolare verdino che i volontari chiamano ‘Casa Betania’, citazione evangelica. Lì, infatti, si prostituiscono le nigeriane, anche minorenni, 16 euro a prestazione. «Una volta sono andata a proporre di fare una preghiera con loro. Non hanno rifiutato. Ma c’era un via vai di clienti, anche italiani. Esperienza allucinante…». Ma suor Paola ci torna. Anche se non lontano c’è un casolare molto “rischioso”, quello dei tunisini. Ci sono protettori, spacciatori e caporali.
«Non abbiamo mai visto le forze dell’ordine», denunciano i volontari. Ma suor Paola non sta certo zitta. Così dopo una trasmissione tv nella quale aveva denunciato i caporali, l’hanno avvicinata con aria minacciosa: «Ma che sei andata a dire?». «Per questo – ci spiega Stefano Campese – è importante che sia stata finalmente approvata la legge sul caporalato. Ci darà più forza e toglierà l’alibi a tanti». Perché qui davvero si sopravvive. Al casolare 13, appena fermi c’è un assalto all’auto, aprono il baule, cercano qualcosa da mangiare. «Non abbiamo niente, ma domani torniamo», quasi si scusa suor Paola. Poi sotto voce ci dice: «Hanno davvero fame».
Redazione Papaboys (Fonte www.avvenire.it/Antonio Maria Mira)
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