Paolo Cevoli non ha dubbi: se il Signore l’ha voluto così, basso e un po’ bruttino, ma con la battuta fulminante, è perché il suo talento è sempre stato quello di «essere un patacca». Niente di più, niente di meno. Così, questo romagnolo doc ha preso sul serio la propria vocazione e nel 2000 ha lasciato la sua carriera da ristoratore per investire nella comicità.
A Zelig è diventato famoso come lo sgangherato (ed esilarante) assessore Palmiro di Roccofritto. Poi è seguita una lunga carriera teatrale dove, tra excursus storici e gag memorabili, è riuscito a parlare di amore, di vita e persino di fede. Il tutto senza mai scadere in cinici sermoni ma sfruttando quella leggerezza, capace di toccare il cuore, tipica della comicità più genuina.
E dire che lei ha una laurea in Giurisprudenza e un passato come manager nel campo della ristorazione… Quanto il Signore l’ha spiazzata, chiamandola a fare il comico?
«Sono sempre partito dal presupposto che Dio è ironico: ama sorprenderti, anche in modi bizzarri. Per rendersene conto, basta saper leggere la presenza del Signore nella storia, non solo personale ma anche dell’umanità. Quanto a me, la mia è stata indubbiamente una “vocazione adulta”, anche se la mia esperienza lavorativa è sempre stata costellata da alcune chiamate: c’è sempre stato qualcuno che, a un certo punto, mi chiedeva: “Perché non provi a fare questo?”. Il primo è stato il mio babbo: sono figlio di albergatori e ho iniziato come cameriere. Poi, dato che mi piaceva scrivere, mi sono iscritto a Giurisprudenza. Dopo la laurea una famiglia proprietaria di una grande catena di hotel di Rimini mi ha proposto un lavoro da manager. Poi negli anni Novanta mi hanno notato sia Maurizio Costanzo sia Gino e Michele, chiedendomi di collaborare con loro».
Dalla ristorazione alla comicità: cosa hanno in comune questi due mondi?
«Moltissimo, perché la logica di entrambi è “servire l’altro”. In fondo il più grande cameriere della storia dell’umanità è stato Gesù Cristo: ai suoi faceva persino il pediluvio! Quando parlo del mio lavoro cito sempre il mio babbo: da albergatore, amava ripetermi che “quando sono contenti i clienti, siamo contenti anche noi”. Lo scopo è rendere felici gli altri e questo vale per tutti i lavori, a maggior ragione per quello del comico».
Esiste dunque un legame tra l’amore e la risata?
«La risata è sempre un fatto affettivo. I fidanzati, per esempio, amano scherzare tra loro proprio perché si vogliono bene. Esiste addirittura un proverbio tedesco che recita: “Chi si ama, si prende in giro”. Per amare gli altri devi però prima voler bene a te stesso e questo è possibile solo se ti senti amato da un Altro. Il grande Chesterton, in uno dei suoi libri, sosteneva che gli angeli volano perché si prendono alla leggera. È questo che li svincolerebbe dalla gravità».
Eppure molti suoi colleghi, più che amare e servire il prossimo, si lanciano in critiche sociali e sermoni politici…
«Lo so. Personalmente ho preferito fare una scelta artistica diversa. Non vado nei talk a parlare di Family day, non mi sento di avere compiti di testimonianza, e in fondo non mi interessa nemmeno, perché non è il mio: io devo fare ridere.
Il comico lanciato da Zelig racconta la sua fede: «È come la differenza tra una giornata grigia e una di sole: una prospettiva che illumina la vita»
Se faccio ridere ho svolto il mio compito. È chiaro però che, nel fare il comico, metto dentro tutto quello che sono, senza censure».
Per questo non teme di parlare anche di Dio, tra una battuta e l’altra?
«Esatto. Uno dei miei spettacoli, ossia La penultima cena, parla proprio dell’Ultima cena. Io interpreto il cuoco Paulus Simplicius Marone e a un certo punto dico: “Quello che ha raccontato Gesù, non me lo ricordo, perché era troppo complicato. Ma lo sguardo! Lo sguardo non posso non ricordarlo!”. Sono infatti convinto che, come diceva William Shakespeare, non si arrivi mai al cuore passando per le orecchie. Ecco, preferisco fare sketch slegati dall’attualità perché mi è più facile parlare del cuore dell’uomo ricordando Michelangelo, Rossini, il mondo antico, eccetera».
Dunque, non nutre velleità di denuncia sociale ma le sue risate non sono mai fini a se stesse?
«Non direi: il bello ha sempre uno scopo un po’ fine a se stesso. Per esempio, le lasagne sono un miracolo ma hanno scopo in se stesse. Nel mio show faccio un pezzo proprio sulle tagliatelle della mia mamma: dico che sono la prova che Dio esiste e che l’uomo collabora alla creazione. La farina infatti da sola non fa niente, nemmeno i pomodori. Serve anche l’uomo per fare la pasta».
Quando ha abbracciato la fede?
«Ci sono nato e cresciuto dentro. Ho ricevuto un’educazione molto semplice ma i miei genitori, con il loro esempio, mi hanno trasmesso l’idea che la realtà è positiva. Ricordo ancora mio padre che, in punto di morte, prima di ricevere l’Estrema unzione ha fatto due battute al prete. Vede, la fede è come la differenza tra una giornata grigia e una di sole: le cose che vedi sono sempre quelle, ma le vedi con una luce diversa. La fede è una prospettiva che illumina la vita ed è questo, in fondo, che non ti fa avere paura di te stesso e del mondo. Non a caso, Gesù non si stancava mai di ripetere: “Non abbiate paura”».
Ci sono delle persone che sono state particolarmente significative per il suo cammino umano e religioso?
«La fede è una scoperta continua, resa possibile da svariati incontri. Sicuramente è decisivo il rapporto con mia moglie, con i miei figli e con i miei amici, ma è molto forte anche l’esperienza della comunione dei santi, ossia con i miei morti e con le persone che non ci sono più. Con loro c’è un dialogo molto fitto. Ogni giorno, per esempio, leggo Dante e questo mi arricchisce molto».
La biografia
SCOPERTO DA COSTANZO
Classe 1959, Paolo Cevoli scopre di avere un talento comico negli anni Novanta, quando arriva terzo al Concorso per giovani comici La Zanzara d’Oro, dietro ad Antonio Albanese. Notato da Maurizio Costanzo, che lo ospita per 15 volte nel suo show, inizia a fare cabaret. Il vero salto sarà poi con Zelig, nel 2002. Seguono una lunga carriera teatrale e un film:Soldato semplice (2015). Attualmente è in scena con lo spettacolo Perché non parli: protagonista, il garzone di Michelangelo Buonarroti (www.paolocevoli.com). Cevoli è sposato con la stilista di moda Elisabetta Garuffi e ha tre figli.
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«Esatto. Uno dei miei spettacoli, ossia La penultima cena, parla proprio dell’Ultima cena. Io interpreto il cuoco Paulus Simplicius Marone e a un certo punto dico: “Quello che ha raccontato Gesù, non me lo ricordo, perché era troppo complicato. Ma lo sguardo! Lo sguardo non posso non ricordarlo!”. Sono infatti convinto che, come diceva William Shakespeare, non si arrivi mai al cuore passando per le orecchie. Ecco, preferisco fare sketch slegati dall’attualità perché mi è più facile parlare del cuore dell’uomo ricordando Michelangelo, Rossini, il mondo antico, eccetera».
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