“Takashi Paolo Nagai, il medico convertito al cattolicesimo, che ha guarito le ferite di guerra cercando di «riflettere la luce di Dio»
«Mizu, mizu». È invocando disperatamente un bicchiere d’acqua che il 9 agosto 1945 migliaia di abitanti di Nagasaki, ustionati dalle radiazioni, si aggirano per quel che resta della città giapponese, spazzata via alle 11:02 dalla bomba atomica al plutonio sganciata dagli Stati Uniti per fiaccare la resistenza del Sol Levante e porre fine alla Seconda guerra mondiale. Circa 40 mila persone perirono sul colpo, altrettante ne moriranno per le ferite riportate e le radiazioni. A dedicarsi anima e corpo alla cura dei superstiti c’è anche Takashi Nagai, chirurgo e radiologo sopravvissuto all’esplosione, che di lì a pochi giorni avrebbe pronunciato queste incredibili parole ai cristiani riuniti davanti alle macerie della cattedrale di Urakami, distrutta dall’esplosione: «Non ci hanno voluti in Paradiso: siamo stati bocciati agli esami di ammissione. Fu Dio, la sua provvidenza, a scegliere Urakami».
È al medico giapponese che è dedicata una delle più belle mostre della XL edizione del Meeting di Rimini: “Takashi Paolo Nagai, annuncio da Nagasaki”. Quelle pronunciate ai cristiani di Urakami sono parole paradossali soprattutto per un uomo che, cresciuto nella più pura tradizione scintoista, ha abbracciato ventenne la “fede” positivista alla facoltà di Medicina dell’università di Nagasaki. «L’essere umano non è altro che materia: non c’è niente di divino», ripeteva in quegli anni.
Eppure è proprio la mano di Dio che Nagai riconoscerà nelle pieghe delle sua storia personale: il «fastidioso» canto dei cristiani nella chiesa di Urakami, a 500 metri dall’università, che lo porterà a interessarsi alla fede insieme alla lettura dei Pensieri di Pascal, la morte improvvisa della madre che gli lascia la nostalgia di qualcosa che sopravviva alla materia, la camera presa in affitto nella casa di una famiglia contadina della zona, i Moriyama, da sette generazioni a capo di un gruppo di “kakure kirishitan” (cristiani nascosti) di Urakami, il salvataggio in extremis da un attacco di appendicite acuta della loro unica figlia, Midori, che pregherà a lungo per la sua conversione fino al battesimo, che Nagai riceverà a 26 anni il 19 giugno 1934, prendendo il nome di Paolo. Due mesi dopo, Nagai sposerà Midori, dalla quale avrà quattro figli.
Il medico giapponese non avrebbe neanche voluto specializzarsi in radiologia, ma una meningite che lo colpisce nel 1932, rendendolo parzialmente sordo, lo costringe a scegliere questo indirizzo. Sono le mura in cemento armato del laboratorio di radiologia che lo salvarono il 9 agosto 1945 dagli effetti della bomba atomica, dandogli la possibilità di occuparsi dei feriti e soprattutto di incarnare la speranza dei cristiani di Nagasaki e di un intero paese dopo la terribile disfatta della guerra, insopportabile e traumatica per l’etica tradizionale nipponica.
Il 23 novembre 1945, durante una messa celebrata davanti alle rovine della cattedrale di Urakami per le vittime della atomica, che uccise anche la moglie Midori, Nagai interpretò così la caduta della bomba e la resa del Giappone, che decretò la fine della guerra, annunciata il 15 agosto, festa dell’Assunzione:
«Ci chiediamo: il convergere di simili eventi, fine della guerra e celebrazione della festa di Maria Assunta in Cielo, è stato un puro caso o un segno provvidenziale? Ho sentito dire che la bomba atomica era destinata a un’altra città. Le fitte nubi resero quel bersaglio troppo difficile e i piloti puntarono sul bersaglio alternativo, Nagasaki.
Ci fu anche un problema tecnico, per cui la bomba fu lanciata molto più a nord di quanto era stato stabilito e scoppiò così proprio sulla cattedrale. Non fu certo l’equipaggio dell’aereo americano che scelse proprio il nostro quartiere. Io credo che fu Dio,la sua provvidenza, a scegliere Urakami e a portare la bomba esattamente sulle nostre case. Non c’è forse un profondo rapporto tra l’annientamento di Nagasaki e la fine della guerra? Non fu forse Nagasaki la vittima scelta, l’Agnello del sacrificio ucciso, per essere offerta perfetta sull’altare, dopo tutti i peccati commessi dalle nazioni della Seconda guerra mondiale?».
Sotto le macerie della cattedrale di Urakami fu ritrovata la campana, intatta, che la notte di Natale tornò a suonare come segno di speranza: «Nemmeno una bomba atomica può far tacere le campane di Dio», scrisse Nagai, che prima di morire di leucemia il 1º maggio 1951, a 43 anni, ormai infermo a causa della malattia, dedicò la sua vita alla preghiera, alla scrittura (pubblicò oltre 20 libri) e alla cura di un popolo prostrato, materialmente e spiritualmente, dalla guerra.
Visse i suoi ultimi anni in una piccola capanna di quattro metri quadri costruita coi pezzi della sua vecchia casa distrutta. La denominò “Nyoko-do”, amate gli altri come voi stessi. Qui scrisse i suoi libri, alcuni di successo, e utilizzò i premi per piantare in particolare 1000 ciliegi nel quartiere di Urakami, per trasformare una terra devastata in una collina in fiore. Nel 1949 venne fatto cittadino onorario di Nagasaki, nonostante l’opposizione dei socialcomunisti perché era cattolico.
La sua capacità di portare e di annunciare la speranza alla popolazione, oltre a quella pace che per lui poteva nascere solo «dalla conversione del cuore», non passò inosservata: negli ultimi anni di vita ricevette in particolare le visite di Helen Keller, dell’imperatore Hirohito e del cardinale Norman Thomas Gilroy inviato da papa Pio XII. A chi lo elogiava per il suo impegno e per la sua statura di «mistico della pace», rispondeva con le parole pronunciate quando fu nominato Primo cittadino di Nagasaki: «La luna che illumina il cielo notturno non è che un freddo ammasso di materia che riflette la luce del sole. Il sole è Gesù. Anch’io rifletto soltanto un po’ della sua luce. Senza Dio, io sarei soltanto un servo inutile. Questa cittadinanza è un puro riflesso della luce di Dio».
Di Leone Grotti per Tempi.it
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