Sancta Sedes

Papa Francesco ai detenuti: Tenete viva la speranza, mai incarcerare la dignità

Serve una conversione culturale, perché i detenuti non smettano mai di essere prima di tutto persone con la loro dignità e affinché la pena non sia la fine della loro vita; affinché ciascuno possa aspirare ad un avvenire migliore. Lo scrive Papa Francesco in una lettera rivolta ai detenuti della Casa di reclusione Due Palazzi di Padova, in occasione di un convegno sull’ergastolo, organizzato nei giorni scorsi da “Ristretti orizzonti”, il giornale realizzato dai reclusi di Padova.

Tenete accesa la luce della speranza. A chiederlo è il Papa, rivolto ai detenuti del carcere Due Palazzi di Padova. Nella lettera a loro rivolta, Francesco scrive di immaginare di cogliere nel loro sguardo “tante fatiche, pesi e delusioni, ma anche di intravedere la luce della speranza”, che lui stesso incoraggia “a non soffocare mai”. Prega per tutti loro Francesco e chiede a chi ha “la responsabilità e la possibilità” di aiutare i detenuti a far sì che la speranza non si spenga, affinché l’essere persone “prevalga” sull’essere detenuti. “Siete persone detenute – scrive il Papa – sempre il sostantivo deve prevalere sull’aggettivo, sempre la dignità umana deve precedere e illuminare le misure detentive”.

Il messaggio di Francesco è un incoraggiamento alla riflessione, perché si realizzino “sentieri di umanità” che possano attraversare “le porte blindate” e affinché i cuori non siano mai “blindati alla speranza di un avvenire migliore per ciascuno”. E’ urgente una conversione culturale, si legge ancora, “dove non ci si rassegni a pensare che la pena possa scrivere la parola fine sulla vita; dove si respinga la via cieca di una ingiustizia punitiva e non ci si accontenti di una giustizia solo retributiva; dove ci si apra a una giustizia riconciliativa e a prospettive concrete di reinserimento; dove l’ergastolo non sia una soluzione ai problemi, ma un problema da risolvere”. Se la dignità “viene definitivamente incarcerata”, è l’avvertimento di Francesco, “non c’è più spazio, nella società, per ricominciare e per credere nella forza rinnovatrice del perdono”. Ma è in Dio, è la conclusione, che c’è “sempre un posto per ricominciare, per essere consolati e riabilitati dalla misericordia che perdona”.

E’ a Don Marco Pozza, cappellano del carcere di Padova, che Papa Francesco ha consegnato la lettera lo scorso 17 gennaio, missiva letta dallo stesso Don Pozza ieri ai detenuti. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

R. – Appena ho finito di leggere la lettera che Papa Francesco ha indirizzato a noi, i detenuti e chi ha partecipato a questo convegno si sono alzati in piedi, come fosse una standing ovation allo stadio e gli hanno tributato un bellissimo applauso. Penso che questo nasca da una consapevolezza: che nemmeno questa volta erano delle parole di circostanza, quelle che Papa Francesco ha espresso, dalle parole emerge il cuore e la mente di un Papa che è seriamente dentro a questo margine di sofferenza che è la pena dell’ergastolo, della quale pure lui fa fatica a capirne il senso. E, di conseguenza, per noi ieri è stata una brezza più che leggera sapere che dentro la fatica di una condanna c’è però la vicinanza di un Papa, che non ha risolto minimamente il problema dell’ergastolo, che però ci ha dimostrato la sua vicinanza. E a noi in questo momento la vicinanza serviva tantissimo.

D. – Questa lettera, don Marco, ti è stata consegnata da Papa Francesco in occasione di una tua visita a Santa Marta?

R. – Questa visita è stata la forma di vicinanza concreta che il Papa ha voluto mostrare a questo convegno. Siamo stati invitati la mattina (17 gennaio scorso ndr) a celebrare la Messa con lui, e poi ci ha fatto il dono di questa lettera che noi non sapevamo ci avesse indirizzato, inoltre si è fermato e ha scambiato con noi anche due parole molto familiari. I carcerati a Papa Francesco accreditano quell’autorevolezza che oggi non si sentono di accreditare a nessun’altra persona. Quindi a me piace pensare che questa lettera, che è stata indirizzata a me e alla nostra realtà, sia però letta in queste ore e in questi giorni come una lettera rivolta a tutte quelle persone che dentro le carceri soffrono e a tutte quelle persone che dentro le carceri, come direbbe Calvino, aiutano i detenuti a scoprire, dentro all’inferno, quello che non è inferno e che magari noi cristiani chiamiamo con il nome della speranza.

D. – Ed è rivolta anche a tutte quelle persone che fanno parte di una giustizia che a volte oggi – e questo è il timore espresso dal Papa – è semplicemente di tipo punitivo. Soprattutto il Papa sottolinea, come dicevi tu, una giustizia che ancora vede nell’ergastolo una soluzione ai problemi…




R. – Esattamente. È tenerissimo quel passaggio; quando parla dell’ergastolo dice: “Cerchiamo di vedere nell’ergastolo non la soluzione ai problemi, ma l’ergastolo come il problema da risolvere”. Noi non lo dovremmo mai dimenticare questo, nei confronti di tutte quelle persone che soffrono per delle responsabilità che sono di coloro che oggi sono condannati alla pena dell’ergastolo. Penso ai familiari delle vittime; penso a tutte quelle forme di sofferenza che sono state causate. Immagino che pensare delle forme alternative di espiazione, che non siano solo punitive, ci potrebbe un giorno, e magari anche con l’aiuto della grazia di Dio, far veramente capire che anche chi è morto non è morto invano. Sono commoventi le storie di persone che raccontano come la loro conversione sia nata anche sulle ceneri di un delitto, grazie anche al perdono ricevuto dalle vittime; o semplicemente sia nata, sia iniziata a nascere, quando hanno realizzato il male che avevano commesso e hanno scoperto che il bene aveva una fantasia più grande. Mi piacerebbe tantissimo pensare che la riflessione sulla pena dell’ergastolo sia qualcosa di utile anche per chiederci a che cosa serva condannare una persona ad una pena che non ha più nessun fine. E da questo punto di vista Papa Francesco ha fatto il bellissimo gesto, che era in suo potere di fare: quello di cancellare la pena dell’ergastolo nello Stato del Vaticano. Un gesto che spero possa servire da pungolo anche per tutte le altre nazioni che non lo hanno fatto, tra le quali l’Italia. Penso che questo gesto (la lettera) non risolverà i problemi economici dell’associazione Ristretti Orizzonti ma, certamente, la aiuterà di fronte alla gente ad accreditare un po’ di fiducia. Perché un Papa che sposa un battaglia così perché ci crede, significa anche accreditare chi magari da 20 anni viene messo ai margini perché ritenuto utopistico nelle sue lotte. 




Fonte it.radiovaticana.va

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