Non cosa possiedo ma con chi condivido e “per chi vivo”. Con questa domanda Francesco provoca i giovani giapponesi perchè non vivano da “zombi” in una società ricca ma schiava della solitudine. Il forte invito del Papa è quello di imparare a donarsi e ad accogliere chi cerca rifugio nel Paese
Debora Donnini – Città del Vaticano
“Non è un’utopia”: è possibile costruire un futuro basato sulla cultura della fraternità, dove la diversità è ricchezza, senza ricorrere al bullismo o all’aggressione. La strada è quella di donarsi perché per essere felici, “non possiamo guardarci allo specchio”, abbiamo bisogno di Dio e degli altri.
È questa la missione che Papa Francesco, nel suo viaggio apostolico, affida ai giovani giapponesi nell’incontro avuto stamani con loro. In circa 900 lo accolgono con canti e gioia nella cattedrale di Santa Maria a Tokyo, realizzata dall’architetto Kenzo Tange, con otto pareti curve in cemento e acciaio, che formano una grande croce. Un momento che è prima di tutto di festa, durante il quale è stato donato al Papa un kimono corto raffigurante la sua immagine e il fiore di ciliegio, ma è anche un incontro che testimonia la diversità culturale e religiosa presente oggi in Giappone.
Il suo discorso in spagnolo, con varie aggiunte a braccio, si intesse come una risposta alle testimonianze di tre giovani che lo hanno preceduto. Come i ragazzi possano incontrare Dio in una società focalizzata sull’essere produttivi e competitivi, era il cuore della domanda posta dalla giovane cattolica, Miki Kobayshi. E’ abituale, nota il Papa, vedere società altamente sviluppate all’esterno ma con la vitalità spenta, dove tutto diventa noioso. “Ci sono uomini e donne che si sono dimenticati di ridere”, che non conoscono il senso della meraviglia, vivono “come zombi, il loro cuore ha smesso di battere” a causa dell’incapacità di celebrare la vita con gli altri, rimarca. “Quanta gente nel mondo è materialmente ricca, ma vive come schiava di una solitudine senza eguali! Penso alla solitudine che sperimentano tante persone, giovani e adulti, delle nostre società prospere, ma spesso così anonime”, ribadisce, esortando a combattere quella “povertà spirituale” che Madre Teresa diceva essere la più terribile povertà: “la solitudine e la sensazione di non essere amati”. E chiede ai giovani un deciso cambiamento di priorità:
Implica riconoscere che la cosa più importante non è tutto ciò che possiedo o che posso acquistare, ma con chi posso condividerlo. Non è così importante concentrarsi e domandarsi perché vivo, ma per chi vivo.
“Le cose sono importanti – prosegue – ma le persone sono indispensabili; senza di esse ci disumanizziamo, perdiamo il volto, il nome e diventiamo un oggetto in più, forse il migliore di tutti, ma sempre un oggetto”. La missione che il Papa affida, quindi, ai giovani, è di offrire al mondo la testimonianza che siamo “per Dio” e per gli altri:
Testimoniate che l’amicizia sociale, l’amicizia fra voi, è possibile! La speranza in un futuro basato sulla cultura dell’incontro, dell’amicizia, dell’accettazione, della fraternità e del rispetto per la dignità di ogni persona, specialmente verso i più bisognosi di amore e comprensione. Senza bisogno di aggredire o disprezzare, ma imparando a riconoscere la ricchezza degli altri.
E come per restare vivi bisogna respirare, così si deve imparare a respirare spiritualmente con la preghiera e la meditazione, con quel movimento interno con cui ascoltiamo Dio e con quel movimento esterno con cui ci avviciniamo agli altri. Un “doppio movimento” per riconoscere quella “vocazione unica” che troviamo nella misura in cui ci doniamo. Per scoprire la propria identità, “non possiamo guardarci allo specchio”, rimarca poi il Papa nel rispondere a Masako, una giovane insegnante buddista, che aveva chiesto come aiutare i giovani a trovare il proprio valore.
Hanno inventato tante cose, ma grazie a Dio non ci sono ancora i selfie dell’anima. Per essere felici, dobbiamo chiedere aiuto agli altri, che la foto la faccia un altro, cioè uscire da noi stessi e andare verso gli altri, specialmente i più bisognosi.
In particolare, il Papa chiede loro di “accogliere quelli che vengono, spesso dopo grandi sofferenze, a cercare rifugio” nel loro Paese e ricorda che all’Incontro è presente un piccolo gruppo di rifugiati: “la vostra accoglienza – afferma – testimonierà che per molti possono essere estranei, ma per voi si possono considerare fratelli e sorelle”.
Il Papa, come in altri incontri con i giovani, torna a parlare della piaga del bullismo. “Dobbiamo unirci tutti contro questa cultura del bullismo” e “imparare a dire: basta!”, evidenzia con forza, rispondendo alla domanda di Leonardo, figlio di immigrati filippini, che per anni vittima di bullismo a scuola, aveva chiesto al Papa come affrontare questo problema che si va diffondendo non solo in Giappone ma in tutto il mondo. Sono proprio i giovani a poter trovare la “medicina migliore” contro questa “epidemia”, sottolinea Francesco:
Non è sufficiente che le istituzioni educative o gli adulti utilizzino tutte le risorse a loro disposizione per prevenire questa tragedia, ma è necessario che tra voi, tra amici, tra compagni, vi mettiate insieme per dire: No! No al bullismo! No all’aggressione verso l’altro! Questo è male! Non esiste un’arma più grande per difendersi da queste azioni di quella di “alzarsi” tra compagni e amici e dire: “Quello che stai facendo, il bullismo, è una cosa grave”.
La cosa più crudele del bullismo è che colpisce l’autostima proprio nel momento in cui si ha più bisogno di forza per affrontare le nuove sfide della vita e le vittime arrivano ad accusarsi di essere stati obiettivi facili, a sentirsi fallite, mentre, paradossalmente, “sono i molestatori quelli veramente deboli”, dei “paurosi” che attaccano chi ritengono diverso e si coprono con un’apparenza di forza.
Proprio l’esperienza di Leonardo che, arrivato fino al pensiero del suicidio, ha trovato conforto e una via d’uscita grazie anche ai sacerdoti e agli amici della parrocchia, è occasione per ricordare che l’amore scaccia il timore, che Gesù stesso sapeva cosa volesse dire essere un migrante, un diverso, in un certo senso è stato il più “emarginato” della storia, evidenzia Papa Francesco esortando a non guardare quello che ci manca ma a scoprire la vita che possiamo donare. “Il Signore – afferma rivolto a Leonardo – ha bisogno di te” per aiutare tanti a rialzarsi. Se “risparmiamo tempo” con le persone, “lo perderemo in molte cose che, alla fine della giornata, ci lasceranno vuoti e storditi”, avverte, chiedendo di dedicare tempo agli altri e a Dio, pregando e meditando. E se la preghiera risulta difficile, il Papa invita, come disse una saggia guida spirituale, a rimanere lì, facendo spazio a Dio che – dice – “ti riempirà della sua pace”.
La chiave per crescere nella saggezza sta non tanto nel trovare le risposte giuste ma nello scoprire le domande giuste, evidenzia ancora, richiamandosi ad una frase di un “maestro saggio”, per esortare a porsi domande provocatorie sul senso della vita e su come costruire un futuro migliore. Ancora una volta, il Papa invita quindi i ragazzi a non spegnere i propri sogni ma a guardare a “grandi orizzonti” e ad avere il coraggio di costruirli insieme perché, conclude, “il Giappone ha bisogno di voi, il mondo ha bisogno di voi”, non addormentati, “generosi, gioiosi ed entusiasti”, capaci di costruire una casa per tutti.
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