Salito sul palco, il Papa invita con ampi gesti un bambino che sta giocando davanti a lui, a raggiungerlo per abbracciarlo. Poi saluta con la mano gli altri giovani. Ascolta con attenzione le tre testimonianze e poi risponde agli stimoli che vengono dagli interventi. Si rivolge prima a Liridona, ragazza musulmana che ha raccontato di aver avuto “più volte occasione di vivere con i miei amici cristiani profondi e forti momenti di comunione”. Sogna che noi credenti in un Unico Dio Misericordioso “possiamo dare la speranza ad un mondo stanco”. Liridona sogna “un mondo in cui regnano rapporti sinceri e aperti tra i singoli e le comunità, tra i popoli e tra le fedi”. E si è chiesta se sogna “forse troppo”.
No, risponde Francesco, “sognare non è mai troppo”, perché “uno dei principali problemi di oggi e di tanti giovani è che hanno perso la capacità di sognare”.
E quando una persona non sogna, quando un giovane non sogna questo spazio viene occupato dal lamento e dalla rassegnazione. Questi li lasciamo a quelli che seguono la “dea lamentela”! […] È un inganno: ti fa prendere la strada sbagliata.
Liridona, commenta ancora il Pontefice, “ha sognato in grande”. Come qualche mese fa, ricorda “con un amico, il Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb”, un sogno molto simile al tuo…
… ci ha portato a volerci impegnare e a firmare insieme un documento che dice che la fede deve portare noi credenti a vedere negli altri dei fratelli che dobbiamo sostenere e amare senza lasciarci manipolare da interessi meschini.
Papa Francesco si rivolge poi alla giovane greco-cattolica Bozanka, che ha ricordato come ai giovani piaccia l’avventura, le vie nuove e sconosciute.
Quale maggior adrenalina che impegnarsi tutti i giorni, con dedizione, ad essere artigiani di sogni, artigiani di speranza? I sogni ci aiutano a mantenere viva la certezza di sapere che un altro mondo è possibile e che siamo chiamati a coinvolgerci in esso e a farne parte col nostro lavoro, col nostro impegno e la nostra azione.
E qui il Papa parla della tradizione degli artigiani scalpellini della Macedonia del Nord, “abili nel tagliare la pietra e lavorarla”.
Ecco, bisogna fare come quegli artisti e diventare bravi scalpellini dei propri sogni.
Uno scalpellino prende la pietra nelle sue mani e lentamente comincia a darle forma e trasformarla, con applicazione e sforzo, e specialmente con una gran voglia di vedere come quella pietra, per la quale nessuno avrebbe dato nulla, diventa un’opera d’arte.Per questo, chiarisce Francesco ai giovani della Macedonia del Nord, “non bisogna bloccarsi per insicurezza, non bisogna avere paura di rischiare e di commettere errori”, ma piuttosto aver paura “di vivere paralizzati, come morti viventi, ridotti a soggetti che non vivono perché non vogliono rischiare, perché non portano avanti i loro impegni o hanno paura di sbagliare”. Perché, anche se sbagli, “potrai sempre rialzare la testa e ricominciare, perché nessuno ha il diritto di rubarti la speranza”.
Il Pontefice porta ai giovani l’esempio della loro conterranea, Madre Teresa: “Quando viveva qui – ricorda – non poteva immaginare come sarebbe stata la sua vita, ma non smise di sognare e di darsi da fare per cercare sempre di scoprire il volto del suo grande amore, Gesù, in tutti coloro che stavano al margine della strada”. Lei ha sognato in grande: “Voleva essere ‘una matita nelle mani di Dio’. E Dio ha cominciato a scrivere con quella matita pagine inedite e stupende”.
Il segreto, sottolinea Papa Francesco, è non vivere i sogni “senza comunità, solo nel proprio cuore o a casa”. Com’è importante sognare insieme!
Per favore, sognate insieme, non da soli; con gli altri, mai contro gli altri. Da soli si rischia di avere dei miraggi, per cui vedi quello che non c’è; insieme si costruiscono i sogni.
Riferendosi infine alla testimonianza di due sposi, il cattolico Dragan e l’ortodossa Marija, concorda che è difficile sognare insieme se non ci si incontra. Il suo consiglio:
Il “faccia a faccia”. Siamo entrati nell’era delle connessioni, ma sappiamo poco di comunicazioni. Molto connessi e poco coinvolti gli uni con gli altri. Perché coinvolgersi chiede la vita, esige di esserci e condividere momenti belli… e altri meno belli.
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
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