Papa Francesco scrive ai giovani per la Giornata mondiale della gioventù diocesana il primo di due messaggi che separano dal prossimo incontro internazionale di Lisbona 2022. Scrive ispirandosi alla Christus vivit, l’Esortazione pubblicata a suggello del Sinodo del 2018. E com’è nel suo stile quando si rivolge ai ragazzi, le parole passano con grande energia dall’individuare con schiettezza gli angoli bui e dalle trappole dell’esistenza a indicare la luce di chi, sentendosi amato da Cristo, cade e si rialza ma comunque non smette di amare.
A dimostrazione il Papa analizza nei singoli gesti il comportamento che Gesù tiene nei riguardi della vedova di Nain, quando gli accade di incrociare la piccola folla che sta portando alla sepoltura l’unico figlio della donna. “Gesù – nota – ferma il corteo funebre. Si avvicina, si fa prossimo”. Ma prima ancora, si ferma a osservare la scena “con sguardo attento e non distratto”, scorge lo strazio della donna, ne ha pietà.
“E il mio sguardo, com’è? Guardo con occhi attenti, oppure come quando sfoglio velocemente le migliaia di foto nel mio cellulare o i profili social?”.
Anche il Papa scruta atteggiamenti stili di vita dei giovani, rilevando una tendenza in tanti “a lasciarsi vivere”, a stare da parte. “Intorno a noi, ma a volte anche dentro di noi – scrive – incontriamo realtà di morte: fisica, spirituale, emotiva, sociale. Ce ne accorgiamo o semplicemente ne subiamo le conseguenze? C’è qualcosa che possiamo fare per riportare vita?”.
Ci sono giovani, dice, “morti perché hanno perso la speranza”, colpiti dalla depressione, “chi vivacchia nella superficialità”, chi si mette in pericolo “con esperienze estreme”, chi mendica qualche gratificazione spicciola, “chi pensa soltanto a fare soldi e a sistemarsi”, chi soffre per un fallimento personale.
“A lungo andare – afferma – comparirà inevitabilmente un sordo malessere, un’apatia, una noia di vivere, via via sempre più angosciante”.
Davanti a questi percorsi di morte interiore, Gesù indica strade di vita. Che passano, sostiene Francesco, per l’apertura agli altri, specie se in difficoltà. La commozione che Gesù prova nel vedere la vedova e suo figlio senza vita “lo rende partecipe della realtà dell’altro. Prende su di sé la miseria dell’altro. Il dolore di quella madre diventa il suo dolore. La morte di quel figlio diventa la sua morte”.
Ecco la verità-paradosso che il Vangelo insegna e il Papa ripete ai giovani: “Se saprete piangere con chi piange, sarete davvero felici”. Se saprete farvi prossimi come prossimo si fa Cristo con la donna e il ragazzo del Vangelo, “che era morto per davvero” ed “è tornato in vita perché è stato guardato da Qualcuno che voleva che vivesse. Questo – assicura il Papa – può avvenire ancora oggi e ogni giorno”.
La parola di Gesù supera le frasi motivazionali – il Papa le definisce “magiche” – che oggi, sottolinea, “vanno di moda e dovrebbero risolvere tutto: ‘Devi credere in te stesso’, ‘Devi trovare le risorse dentro di te’ (…) Ma tutte queste sono semplici parole e per chi è veramente ‘morto dentro’ non funzionano. La parola di Cristo è di un altro spessore, è infinitamente superiore. È una parola divina e creatrice, che sola può riportare la vita dove questa si era spenta”.
In un’epoca in cui spesso “c’è ‘connessione’ ma non comunicazione”, in cui ci sono “giovani isolati e ripiegati su mondi virtuali, Francesco ripete le parole di Gesù al ragazzo sul feretro: “Alzati!”.
“È un invito – spiega – ad aprirsi a una realtà che va ben oltre il virtuale. Ciò non significa disprezzare la tecnologia, ma utilizzarla come un mezzo e non come un fine. “Alzati” significa anche “sogna”, “rischia”, “impegnati per cambiare il mondo”, riaccendi i tuoi desideri, contempla il cielo, le stelle, il mondo intorno a te”.
“Se Gesù fosse stato uno che si fa gli affari suoi, il figlio della vedova non sarebbe risuscitato”, ricorda il Papa di aver sentito dire da un giovane. E conclude: “Quali sono le vostre passioni e i vostri sogni? Fateli emergere, e attraverso di essi proponete al mondo, alla Chiesa, ad altri giovani, qualcosa di bello nel campo spirituale, artistico, sociale. Vi ripeto nella mia lingua materna: hagan lìo! Fatevi sentire!”.
Fonte vaticannews.va – Alessandro De Carolis – Città del Vaticano
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