“La pace sia con voi!” – così ha esordito Papa Francesco – “sono lieto di potervi salutare con lo stesso saluto con cui Cristo Risorto si è rivolto ai discepoli, riuniti nel Cenacolo la sera del “giorno dopo il sabato” (cfr Gv 20,19-23). Definitivamente passata la notte della croce e anche il tempo del silenzio di Dio, venne il Risorto, attraversando le porte delle paure dei discepoli, fermandosi in mezzo a loro, mostrando i segni del suo sacrificio di amore, consegnando loro la missione da Lui ricevuta dal Padre, alitando su di loro lo Spirito Santo perché dispensassero nel mondo il perdono e la misericordia del Padre, frutto primigenio della sua passione. Allora i suoi discepoli ritrovarono sé stessi. Per un breve ma oscuro intervallo, si erano lasciati disperdere dallo scandalo della croce: smarriti, vergognosi della loro debolezza, dimentichi della loro identità di seguaci del Signore. Ora, vedere il volto del Risorto ricompone i frammenti delle loro vite. Riconoscere la sua voce fa ritrovare quella pace che mancava nei loro cuori sin da quando lo avevano abbandonato. Scossi dal Soffio delle sue labbra ora capiscono che la missione che ricevono non li potrà schiacciare”.
“Siete Vescovi della Chiesa, recentemente chiamati e consacrati. Siete venuti da un irripetibile incontro con il Risorto. Attraversando i muri della vostra impotenza, Egli vi ha raggiunto con la sua presenza. Benché conoscesse i vostri rinnegamenti e abbandoni, le fughe e i tradimenti. Ciononostante, Egli è arrivato nel Sacramento della Chiesa e ha soffiato su di voi. È un alito da custodire, un soffio che sconvolge la vita (che non sarà mai più come prima), anche se rasserena e consola come brezza leggera, di cui non ci si può impossessare. Vi prego di non addomesticare tale potenza, ma di lasciarla continuamente sconvolgere la vostra vita”.
“Siete quindi testimoni del Risorto. Questo è il vostro primario ed insostituibile compito. Non è lo sdolcinato discorso dei deboli e dei perdenti, ma la sola ricchezza che la Chiesa tramanda sia pur mediante fragili mani. A voi è affidata la predicazione della realtà che sostiene tutto l’edificio della Chiesa: Gesù è Risorto! Colui che ha subordinato la propria vita all’amore, non poteva restare nella morte. Dio Padre ha risuscitato Gesù! Anche noi risorgeremo con Cristo! “.
“Non si tratta di una proclamazione ovvia né facile. Il mondo è così contento del suo presente, almeno in apparenza, di ciò che è in grado di assicurare quanto gli sembra utile per soffocare la domanda su ciò che è definitivo. Gli uomini sono così dimentichi dell’eternità mentre, distratti e assorti, amministrano l’esistente, rimandando quanto verrà. Tanti si sono tacitamente rassegnati all’abitudine di navigare a vista, al punto da rimuovere la realtà stessa del porto che li attende. Molti sono così rapiti dal cinico calcolo della propria sopravvivenza, che ormai si sono resi indifferenti e, non di rado, impermeabili alla stessa possibilità della vita che non muore”.
“E tuttavia siamo assaliti da domande le cui risposte non possono venire che dal futuro definitivo. Sono, infatti, così impegnative che non sapremmo come rispondere escludendo quel “giorno dopo il sabato”, prescindendo dall’orizzonte dell’eternità che esso ci apre, limitandosi alla logica amputata del chiuso presente, nel quale restiamo imprigionati senza la luce di quel giorno. Come potremmo affrontare l’increscioso presente se si sbiadisse in noi il senso di appartenenza alla comunità del Risorto? Come potremmo donare al mondo quanto abbiamo di più prezioso? Saremmo in grado di ricordare la grandezza del destino umano, se si affievolisse in noi il coraggio di subordinare la nostra vita all’amore che non muore?”.
“Penso alle sfide drammatiche come la globalizzazione, che avvicina ciò che è lontano e d’altra parte separa chi è vicino; penso al fenomeno epocale delle migrazioni che scombussola i nostri giorni; penso all’ambiente naturale, giardino che Dio ha dato come abitazione all’essere umano e alle altre creature e che è minacciato dal miope e spesso predatorio sfruttamento; penso alla dignità e al futuro del lavoro umano, di cui sono prive generazioni intere, ridotte a statistiche; penso alla desertificazioni dei rapporti, alla deresponsabilizzazione diffusa, al disinteresse per il domani, alla crescente e paurosa chiusura; allo smarrimento di tanti giovani e alla solitudine di non pochi anziani. Sono certo che ognuno di voi potrebbe completare questo catalogo di problematiche”.
“Non vorrei concentrarmi su una tale agenda di compiti perché non vorrei spaventarvi. Siete ancora in luna di miele! Come Vescovo di Roma che, dopo faticoso discernimento, ha prestato la propria flebile voce perché il Risorto vi aggregasse al collegio episcopale, mi preme soltanto consegnarvi, ancora una volta, alla gioia del Vangelo”.
“Gioirono i discepoli nell’incontrare redivivo il “Pastore che accettò di morire per il suo gregge”. Gioite anche voi mentre vi consumate per le vostre Chiese particolari. Non lasciatevi svaligiare un simile tesoro. Ricordatevi sempre che è il Vangelo a custodirvi e perciò non abbiate paura di recarvi ovunque e di intrattenervi con quanti il Signore vi ha affidato”.
“Come ho avuto modo di approfondire nell’Evangelii gaudium, nessun ambito della vita degli uomini va escluso dall’interesse del cuore del Pastore (cfr nn. 14-15; Redemptoris missio, 33). Guardatevi dal rischio di trascurare le molteplici e singolari realtà del vostro gregge; non rinunciate agli incontri; non risparmiate la predicazione della Parola viva del Signore; invitate tutti alla missione”.
“Per coloro che sono di casa, frequentano le vostre comunità e si accostano all’Eucaristia, vi invito a farvi Vescovi pedagoghi, guide spirituali e catechisti, capaci di prenderli per mano e farli salire sul Tabor (cfr Lc 9,28-36), guidandoli alla conoscenza del mistero che professano, allo splendore del volto divino nascosto nella Parola che forse pigramente si sono abituati ad ascoltare senza scorgerne la potenza. Per quanti già camminano con voi, procurate luoghi e allestite tende nelle quali il Risorto possa rivelare il proprio splendore. Non risparmiate energie per accompagnarli nella salita. Non lasciate che si rassegnino alla pianura. Rimuovete con delicatezza e cura la cera che lentamente si deposita negli orecchi impedendo loro di ascoltare Dio che attesta: Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto tutta la mia gioia (cfr Mt 17,5)”.
“È la gioia che trascina, che incanta, che rapisce. Senza gioia il cristianesimo deperisce in fatica: in pura fatica. Curate i vostri sacerdoti, affinché risveglino tale incanto di Dio nella gente, così che abbia sempre voglia di rimanere alla Sua presenza, senta nostalgia della Sua compagnia, non desideri altro che tornare al Suo cospetto. Troppe sono le parole vuote che portano gli uomini lontani da sé, relegati nell’effimero e limitati al provvisorio. Assicuratevi che sia Gesù, l’amato di Dio, l’alimento solido che venga continuamente ruminato e assimilato”.
“In secondo luogo ho ricordato “le persone battezzate che però non vivono le esigenze del Battesimo”. Forse si è a lungo presupposto che la terra, nella quale è caduto il seme del Vangelo, non fosse bisognosa di cura. Alcuni si sono allontanati perché delusi dalle promesse della fede o perché troppo esigente è sembrato il cammino per raggiungerle. Non pochi sono usciti sbattendo la porta, rinfacciandoci le nostre debolezze e cercando, senza riuscire del tutto, di convincersi che si erano lasciati ingannare da speranze alla fine smentite”.
“Siate Vescovi capaci di intercettare il loro cammino; fatevi pure voi viandanti apparentemente smarriti (Lc 24,13-35), domandando che cosa è successo nella Gerusalemme della loro vita e, discretamente, lasciando sfogare il loro cuore infreddolito. Non vi scandalizzate dei loro dolori o delle loro delusioni. Illuminateli con la fiamma umile, custodita con tremore, ma sempre capace di rischiarare chi è raggiunto dalla sua limpidezza che, però, non è mai abbagliante”.
“Spendete tempo per incontrarli sulla strada della loro Emmaus. Dispensate parole che rivelino loro ciò che ancora sono incapaci di vedere: le potenzialità nascoste nelle loro stesse delusioni. Guidateli nel mistero che portano sulle labbra senza ormai riconoscere la sua forza. Più che con le parole, riscaldate il loro cuore con l’ascolto umile e interessato al loro vero bene, finché si aprano i loro occhi e possano invertire la rotta e tornare a Colui dal quale si erano allontanati”.
“Ricordate, vi prego, che conoscevano già il Signore. Devono comunque riscoprirlo perché, nel frattempo, si sono oscurati i loro occhi. Aiutateli a riconoscere il loro Signore, affinché abbiano la forza di tornare a Gerusalemme. E la fede della comunità sarà arricchita e confermata dalla testimonianza del loro rientro. Vegliate perché non s’insinui pericolosamente nelle vostre comunità quella superbia dei “figli più grandi”, che rende incapace di rallegrarsi con chi “era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,24)”.
“Come Pastori missionari della gratuita salvezza di Dio, cercate anche chi non conosce Gesù o l’ha sempre rifiutato. Andate nella loro direzione, fermatevi davanti a loro e guardate, senza paura o soggezione, su quali alberi si sono arrampicati (cfr Lc 19,1-10). Non abbiate paura di invitarli a scendere subito, perché il Signore vuole entrare, proprio oggi, nella loro casa. Fate loro capire che la salvezza passa ancora sotto l’albero della loro vita, e affrettatevi ad incamminarvi verso la loro abitazione, a volte piena di cose svuotate di senso”.
“Non è vero che possiamo prescindere da questi fratelli lontani. Non ci è consentito di rimuovere l’inquietudine per la loro sorte. Inoltre, occuparci del loro autentico e definitivo bene potrebbe aprire una breccia nel murato perimetro con cui gelosamente tutelano la propria autarchia. Vedendo in noi il Signore che li interpella, forse avranno il coraggio di rispondere all’invito divino. Qualora ciò avvenisse, le nostre comunità saranno arricchite di quanto essi hanno da condividere e il nostro cuore di Pastori si rallegrerà di poter ripetere ancora: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa”. Tale orizzonte prevalga nel vostro sguardo di Pastori nell’imminente Anno Giubilare della Misericordia che ci apprestiamo a celebrare”.
“Nell’impartire su di voi e sulle vostre Chiese la Benedizione Apostolica, con grande affetto e gratitudine benedico i Signori Cardinali Marc Ouellet e Leonardo Sandri, le Congregazioni che essi presiedono e l’intero corpo dei loro collaboratori”.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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