Non vite sacerdotali a metà, né preti o vescovi che non si sentono peccatori e si chiudono “in sé”: ma esistenze mature attraverso una fede capace di generare “fede negli altri”. Così Papa Francesco nel suo discorso ai parroci di Roma incontrati, com’è tradizione a inizio Quaresima, nella Basilica di San Giovanni in Laterano. Prima della meditazione, il Pontefice ha confessato quindici dei sacerdoti presenti, intrattenendosi circa un’ora in confessionale. Il servizio di Giada Aquilino per Radio Vaticana:
Rafforzare gli altri “nella fede in Gesù”. Questa la missione dei parroci nelle parole del Papa a San Giovanni in Laterano. La meditazione di Francesco, in parte scritta, in parte a braccio, in effetti è diretta a tutti, al missionario, al seminarista, al sacerdote, al vescovo: è un invito a “continuare a camminare”, affinché si sia confermati nella fede, perché – spiega ai presenti – “noi possiamo confermare” quella dei nostri fratelli, del popolo:
“A me piace ripetere che un sacerdote o un vescovo che non si sente peccatore, che non si confessa, si chiude in sé, non progredisce nella fede. Ma bisogna stare attenti a che la confessione e il discernimento delle proprie tentazioni includano e tengano conto di questa intenzione pastorale che il Signore vuole darci a tutti noi, a tutti i sacerdoti”.
“Come sacerdoti”, afferma il Papa, l’obiettivo deve essere quello di far “crescere” la fede:
“Se la fede non cresce, rimane immatura e ci sono vite umane e anche vite sacerdotali a metà strada; a metà strada perché la fede non è cresciuta, non è andata oltre: è immatura … e noi sacerdoti, se non abbiamo una fede matura, capace di generare fede negli altri – quella paternità, no? – potremmo fare del male. E tanto male. Ma se la fede cresce, fa tanto bene: tanto bene”.
La crescita nella fede avviene, assicura, “soltanto quando ci incontriamo con il Signore”. Francesco invita quindi a trarre forza dalla “memoria” radicata nella fede della Chiesa, “dei nostri padri”, perché è molto importante “cercare le radici” della nostra fede. Ricorda un aneddoto personale, di aver avuto negli esercizi spirituali difficoltà nella comprensione della “meditazione della morte, del giudizio finale”:
“E’ venuto alla memoria uno scritto che mia nonna aveva sul comodino: ‘Stai attento, ché ti guarda Dio, che ti sta guardando. Pensa che morirai e non sai quando’. E in quel momento, la preghiera è andata avanti. Sono state le radici ad aprirmi la porta della strada. Il cristiano progredisce sempre dalle radici, non dimentica le radici”.
Esorta poi a confidare nella speranza: la nostra, spiega ai parroci, non è una fede “davanti a un muro”, la speranza – assicura – “ti porta all’orizzonte”. E raccomanda il discernimento, che “concretizza la fede”. Il Papa indica “un cammino di formazione e di maturazione della fede”:
“La crescita nella fede avviene attraverso gli incontri con il Signore nel corso della vita. Questi incontri si custodiscono come un tesoro nella memoria e sono la nostra fede viva, in una storia di salvezza personale”.
Poi Francesco prende a prestito l’immagine del giocatore di basket, che inchioda il piede come “perno” a terra per decidere come agire in campo. Ecco: “per noi quel piede inchiodato al suolo, intorno al quale facciamo perno – afferma il Papa – è la croce di Cristo”. Invita a rileggere l’Evangelii gaudium, quando si chiarisce che un “cuore missionario” non rinuncia al bene possibile “benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada”, coi i più poveri, i più piccoli:
“Credere che lì c’è Cristo, discernere il modo migliore per fare un piccolo passo verso di Lui, per il bene di quella persona, è progresso nella fede. Come pure lodare è progresso nella fede, e desiderare di più è progresso nella fede: non è un atto di beneficienza, questo è progresso nella fede”.
Il Pontefice prende come icona del “progresso nella fede” la figura di Simon Pietro, a cui il Signore Gesù “fa fare in ogni momento atti di fede”, fino a diventare Papa. Si sofferma sui due nomi:
“La fede di Simon Pietro progredisce e cresce nella tensione tra questi due nomi, il cui punto fisso – il perno – è centrato in Gesù. Anche noi abbiamo due nomi, ognuno cerchi”.
Simon Pietro sperimenta momenti di grandezza, come quando confessa che Gesù è il Messia, ed altri in cui compie grandi errori, “di estrema fragilità e totale sconcerto”, fino ai “tre rinnegamenti davanti ai servi”. Eppure con questa fede “provata”, sottolinea, Simon Pietro “ha la missione di confermare e consolidare la fede dei suoi fratelli, la nostra fede”. Il Pontefice riflette il suo essere “passato al vaglio”, intendendo un movimento di spiriti grazie al quale si discerne quello che viene dallo spirito buono da quello che viene dallo spirito cattivo, dal demonio:
“Forse la più grande tentazione del demonio era questa: insinuare in Simon Pietro l’idea di non ritenersi degno di essere amico di Gesù, perché lo aveva tradito. Il peso dei nostri peccati tante volte ci allontana dal Signore: ‘Ma come, io, con questo che ho fatto …?’. Ma il Signore è fedele, sempre è fedele, e sempre ci porta avanti”.
La certezza è sempre quella del perdono del Signore:
“La tentazione sempre è presente nella vita di Simon Pietro e la tentazione sempre è presente nella nostra. Di più: senza tentazione non si progredisce nella fede. Nel Padre Nostro chiediamo la grazia di non cadere, ma non di non essere tentati”.
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Al termine della riflessione, Francesco dona ai partecipanti una copia del libro di un anziano cappuccino di Buenos Aires, un “grande confessore”, padre Luis Dri, dal titolo: “Non avere paura di perdonare”.
“Forse ci aiuterà a crescere nella fede nel Signore, che è tanto misericordioso a perdonare”.
Un regalo e anche un invito ai parroci di Roma.
Fonte it.radiovaticana.va