Nella Chiesa tutta è il tempo della misericordia. Questa è stata un’intuizione del beato Giovanni Paolo II. Lui ha avuto il fiuto che questo era il tempo della misericordia. Pensiamo alla beatificazione e canonizzazione di Suor Faustina Kowalska, poi e ha introdotto la festa della Divina Misericordia. Pian pianino è avanzato, è andato avanti su questo. Nell’Omelia per la Canonizzazione, che avvenne nel 2000, Giovanni Paolo II – di Faustina – sottolineò che il messaggio di Gesù Cristo a Suor Faustina si colloca temporalmente tra le due guerre mondiali ed è molto legato alla storia del ventesimo secolo. E guardando al futuro disse: «Che cosa ci porteranno gli anni che sono davanti a noi? Come sarà l’avvenire dell’uomo sulla terra? A noi non è dato di saperlo. E’ certo tuttavia che accanto a nuovi progressi non mancheranno, purtroppo, esperienze dolorose. Ma la luce della divina misericordia, che il Signore ha voluto quasi riconsegnare al mondo attraverso il carisma di suor Faustina, illuminerà il cammino degli uomini del terzo millennio».
Oggi dimentichiamo tutto troppo in fretta, anche il Magistero della Chiesa! In parte è inevitabile, ma i grandi contenuti, le grandi intuizioni e le consegne lasciate al Popolo di Dio non possiamo dimenticarle. “Che cosa significa misericordia per i preti? E mi viene in mente che alcuni di voi mi hanno telefonato, scritto una lettera, poi ho parlato al telefono… ‘Ma Papa, perché lei ce l’ha con i preti?’. Perché dicevano che io bastono i preti! Non voglio bastonare qui…” che cosa significa misericordia per i preti? Domandiamoci che cosa significa misericordia per un prete, permettetemi di dire per noi preti. Per noi, per tutti noi! I preti si commuovono davanti alle pecore, come Gesù, quando vedeva la gente stanca e sfinita come pecore senza pastore. Gesù ha le “viscere” di Dio, Isaia ne parla tanto: è pieno di tenerezza verso la gente, specialmente verso le persone escluse, cioè verso i peccatori, verso i malati di cui nessuno si prende cura… Così a immagine del Buon Pastore, il prete è uomo di misericordia e di compassione, vicino alla sua gente e servitore di tutti. Questo è un criterio pastorale che vorrei sottolineare tanto: la vicinanza! La prossimità e il servizio.Vi lascio la domanda: ‘Come mi confesso? Come? Mi lascio abbracciare?’. Mi viene alla mente un grande sacerdote di Buenos Aires … ha meno anni di me: ne avrà 72… Una volta è venuto da me. E’ un grande confessore: sempre la coda lì… I preti, la maggioranza, vanno da lui a confessarsi… E’ un grande confessore! E una volta è venuto da me: ‘Ma Padre’; ‘Dimmi….’; ‘Io ho un po’ di scrupolo, perché io so che perdono troppo!’; ‘Ma prega… Se tu perdoni troppo…’. E abbiamo parlato della misericordia. A un certo punto mi ha detto: ‘Ma tu sai quando io sento che è forte questo scrupolo, vado in cappella, davanti al Tabernacolo…’. E dico: ‘Ma, scusami, Tu hai la colpa, perché mi hai dato il cattivo esempio!’. E me ne vado tranquillo… E’ una bella preghiera di misericordia. Se uno nella confessione vive questo su di sé, nel proprio cuore, può anche donarlo agli altri”. Il prete è chiamato a imparare questo, ad avere un cuore che si commuove. I preti – mi permetto la parola – ‘asettici’ quelli ‘di laboratorio’, tutto pulito, tutto bello. Non aiutano la Chiesa! La Chiesa oggi possiamo pensarla come un ‘ospedale da campo’. Questo scusatemi lo ripeto, perché lo vedo così, lo sento così: un ‘ospedale da campo’: c’è bisogno di curare le ferite, tante ferite! Tante ferite! C’è tanta gente ferita, dai problemi materiali, dagli scandali, anche nella Chiesa… Gente ferita dalle illusioni del mondo… Noi preti dobbiamo essere lì, vicino a questa gente. Misericordia significa prima di tutto curare le ferite. Quando uno è ferito, ha bisogno subito di questo, non delle analisi; come il dosaggio del colesterolo, della glicemia… Ma è la ferita, cura la ferita, e poi vediamo le analisi. Poi si faranno le cure specialistiche, ma prima si devono curare le ferite aperte. Per me questo, in questo momento, è più importante. Anche ferite nascoste, perché c’è gente che si allontana per non far vedere le ferite… Misericordia significa né manica larga né rigidità. Ritorniamo al sacramento della Riconciliazione. Capita spesso, a noi preti, di sentire l’esperienza dei nostri fedeli che ci raccontano di aver incontrato nella Confessione un sacerdote molto ‘stretto’, oppure molto ‘largo’,
rigorista o lassista. E questo non va bene. Che tra i confessori ci siano differenze di stile è normale, ma queste differenze non possono riguardare la sostanza, cioè la sana dottrina morale e la misericordia. Né il lassista né il rigorista rende testimonianza a Gesù Cristo, perché né l’uno né l’altro si fa carico della persona che incontra. Il rigorista si lava le mani: infatti la inchioda alla legge intesa in modo freddo e rigido; il lassista invece si lava le mani: solo apparentemente è misericordioso, ma in realtà non prende sul serio il problema di quella coscienza, minimizzando il peccato. La vera misericordia si fa carico della persona, la ascolta attentamente, si accosta con rispetto e con verità alla sua situazione, e la accompagna nel cammino della riconciliazione. E questo è faticoso! Sì, certamente!Dimmi: Tu piangi? O abbiamo perso le lacrime? Ricordo che nei Messali antichi, quelli di un altro tempo, c’è una preghiera bellissima per chiedere il dono delle lacrime. Incominciava così, la preghiera: ‘Signore, Tu che hai dato a Mosè il mandato di colpire la pietra perché venisse l’acqua, colpisci la pietra del mio cuore perché le lacrime …’: era così, più o meno, la preghiera. Era bellissima. Ma, quanti di noi piangiamo davanti alla sofferenza di un bambino, davanti alla distruzione di una famiglia, davanti a tanta gente che non trova il cammino? Il pianto del prete … Tu piangi? O in questo presbiterio abbiamo perso le lacrime? Piangi per il tuo popolo? Dimmi, tu fai la preghiera di intercessione davanti al Tabernacolo? Tu lotti con il Signore per il tuo popolo, come Abramo ha lottato? E se fossero meno? E se fossero 25? E se fossero 20? Quella preghiera coraggiosa di intercessione … Ma, noi parliamo di parresia, di coraggio apostolico, e pensiamo ai piani pastorali … ma quello va bene: ma anche la stessa parresia è necessaria nella preghiera. Lotti con il Signore, o discuti con il Signore come ha fatto Mosè, quando il Signore era stufo, stanco del suo popolo e gli disse: ‘Ma, tu stai tranquillo … distruggerò tutti, e a te ti farò capo di un altro popolo’. No. No. Se tu distruggi il popolo, distruggi anche a me. Ma, questi avevano i pantaloni! E io faccio la domanda: Noi abbiamo i pantaloni per lottare con Dio per il nostro popolo?. Poi ha fatto un’altra domanda: “La sera, come concludi la tua giornata? Con il Signore o con la televisione? E vedo tanti sorrisi, qui [ride] … Anche io rido, eh? Com’è il tuo rapporto con quelli che aiutano ad essere più misericordiosi? Cioè, com’è il tuo rapporto con i bambini, con gli anziani, con i malati? Sai accarezzarli, o ti vergogni di accarezzare un anziano? vergogna della carne del suo fratello ferito ed escluso”.
E a braccio ha proseguito: “Io vi confesso, a me fa bene, alcune volte, leggere l’elenco sul quale sarò giudicato: mi fa bene. E’ in Matteo 25. Queste sono le cose che mi sono venute in mente di condividere con voi. Sono un po’ alla buona, come sono venute, no? Ci farà bene. A Buenos Aires – parlo di un altro prete – c’era un confessore, famoso: questo era sacramentino. Quasi tutto il clero si confessava da lui. Quando, una delle due volte che è venuto, Giovanni Paolo II ha chiesto un confessore in nunziatura, è andato lui. E’ anziano, molto anziano … alla fine ha fatto il Provinciale nel suo Ordine, il professore … ma sempre confessore, sempre. E sempre aveva la coda, lì, alla chiesa del Santissimo Sacramento. In quel tempo, io ero vicario generale e abitavo nella curia, e ogni mattina, presto, scendevo al fax per guardare se c’era qualcosa, lì. E la mattina di Pasqua ho letto un fax del superiore della comunità: ‘Ieri, mezz’ora prima della Veglia Pasquale, è mancato il padre … il funerale sarà tal giorno’. E la mattina di Pasqua io dovevo andare a fare il pranzo con i preti della casa di riposo per i preti – lo facevo di solito a Pasqua – ‘e poi, dopo pranzo, andrò alla chiesa’. Era una chiesa grande, molto grande, con una cripta bellissima. Sono sceso nella cripta e c’era la bara, solo due vecchiette lì che pregavano, ma nessun fiore. Io ho pensato: ma quest’uomo che ha perdonato i peccati a tutto il clero di Buenos Aires, anche a me, ma, un fiore …? Sono salito e sono andato in una fioreria – perché a Buenos Aires agli incroci delle vie ci sono le fiorerie, sulle strade, alcune, nei posti dove c’è gente – e ho comprato fiori, rose … E sono tornato e ho incominciato a preparare bene lì la bara, con fiori … E ho guardato il Rosario che avevo in mano e subito è venuto in mente quel ladro che tutti noi abbiamo dentro e mentre sistemavo i fiori ho preso la croce del Rosario, una croce così, e con un po’ di forza l’ho staccata. E in quel momento l’ho guardato e ho detto: ‘Dammi la metà della tua misericordia’. Ho sentito una cosa forte che mi ha dato il coraggio di fare questo e di fare questa preghiera. E poi, quella croce l’ho messa qui, in tasca. Ma, le camicie del Papa non hanno tasche, no? Ma, io sempre porto qui una busta di stoffa piccola, e anche da quel giorno, fino ad oggi, quella croce è con me. E quando mi viene un cattivo pensiero contro qualche persona, la mano mi viene qui, sempre. E sento la grazia … che mi fa bene. Ma quanto bene fa l’esempio di un prete misericordioso, di un prete che si avvicina alle ferite … Se pensate, voi sicuramente avete conosciuto tanti, tanti, perché i preti dell’Italia sono bravi, eh? Sono bravi. Io credo che se l’Italia ancora è tanto forte, non è tanto per noi vescovi, ma per i parroci, per i preti: è vero, quello è vero, non è un po’ d’incenso per confortarvi. Lo sento così. La misericordia. E, pensate a tanti preti che sono in cielo e chiedete questa grazia … che vi diano quella misericordia che hanno avuto con i loro fedeli. E questo fa bene. Grazie tante dell’ascolto e di essere venuti qui. a cura di Emanuela Graziosi
* La fonte dell’articolo è tratta da: radiovaticana.it
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