“Non abbiate paura del peso del quotidiano, del peso delle circostanze difficili che alcuni di voi devono attraversare!” Papa Francesco ha parole di incoraggiamento per il clero egiziano, riunito ad ascoltarlo nel seminario del Maadi.
È l’ultimo incontro del Papa in Egitto, prima della cerimonia di congedo che lo riporterà a Roma. Arriva appena dopo il pranzo con i vescovi copti, ed è significativo che sia rivolto al clero, e si tenga al seminario maggiore patriarcale copto cattolico dedicato a San Leone Magno, detto il Seminario del Maadi perché così si chiama il quartiere residenziale in cui è ubicato, nella periferia al Sud del Cairo. Quasi tutti i candidati al sacerdozio d’Egitto ricevono lì la loro formazione.
Si tratta – come dice il Papa – del “cuore della Chiesa cattolica in Egitto”, il posto dove Dio prepara il “lievito per questa Terra”, perché “insieme ai suoi fratelli ortodossi, cresca in essa il suo Regno”. E Toma Adi Zaki, rettore del seminario, chiede al Papa di pregare “per noi formatori nella vita consacrata, siano piccole o grandi le nostre responsabilità e le nostre posizioni, affinché possiamo essere una benedizione per i novizi, per i quali la Provvidenza Divina ha voluto che la loro consacrazione avvenga durante il tempo delle nostre responsabilità e posizioni”.
Papa Francesco incoraggia i sacerdoti, che operano in sfide e circostanze difficili. Ma “noi veneriamo la Santa Croce, strumento e segno della nostra salvezza. Chi scappa dalla croce scappa dalla Risurrezione”. Si tratta – afferma il Papa – “di credere, di testimoniare la verità, di seminare e coltivare senza aspettare il raccolto”. Ma noi “raccogliamo i frutti di una schiera di altri, consacrati e non, che generosamente hanno operato nella Vigna del Signore”.
Il Papa invita i sacerdoti ad essere “una forza positiva, luce e sale della società”, “costruttori di ponti e operatori di dialogo” nel mezzo di “tanti motivi di scoraggiamento” e “tanti profeti di distruzione e condanna”.
Ma si può fare – aggiunge il Pontefice – se non si cede alle tentazioni, che gli egiziani conoscono bene perché “sono state ben descritte dai monaci dell’Egitto”. E ne elenca sette.
La prima è la “tentazione di lasciarsi trascinare e non guidare”, perché il Buon Pastore “non può farsi trascinare dalla delusione e dal pessimismo”, è invece “una fonte che zampilla anche quando è prosciugata.
Quindi, la tentazione di “lamentarsi continuamente”, perché “è facile accusare sempre gli altri, per le mancanze dei superiori, per le condizioni ecclesiastiche o sociali, per le scarse possibilità.”, ma è grazie all’unzione dello Spirito che il consacrato trasforma “ogni ostacolo in opportunità.
La terza tentazione è quella del pettegolezzo e dell’invidia, cercando magari “invece di sforzarsi per crescere, di distruggere quelli che stanno crescendo”, perché l’invidia è “un cancro che rovina qualsiasi corpo in poco tempo”.
La quarta tentazione è quella del paragonarsi con gli altri, perché “la ricchzza stas nella diversità e nell’unicità di ognuno di noi”.
Quinto, la tentazione del “faraonismo”, che – nelle parole del Papa – significa “indurire il cuore e del chiuderlo al Signore e ai fratelli”, vale a dire “sentirsi al di sopra degli altri e quindi di sottometterli a sé per vanagloria”, e avere la presunzione di farsi servire invece di servire.
Papa Francesco dice anche no all’individualismo, la “tentazione degli egoisti che, strada facendo, perdono la mèta e invece di pensare agli altri pensano a sé stessi, non provandone alcuna vergogna, anzi, giustificandosi”.
E infinte, il Papa mette in guardia dalla tentazione del “camminare senza bussola e senza meta”, perché il consacrato “perde la sua identità e inizia a non essere ‘né carne né pesce’, e “vive con cuore diviso tra Dio e la mondanità”.
Quale l’identità dei sacerdoti egiziani? Quella di essere “copti, cioè radicati nelle vostre nobili e antiche radici” e allo stesso tempo cattolici, cioè “parte della Chiesa una e universale: come un albero che più è radicato nella terra e più è alto nel cielo!”
Per resistere alle tentazioni – spiega il Papa – si deve rimanere innestati in Gesù, perché “più siamo radicati in Cristo, più siamo vivi e fecondi! Solo così la persona consacrata può conservare la meraviglia, la passione del primo incontro, l’attrazione e la gratitudine nella sua vita con Dio e nella sua missione. Dalla qualità della nostra vita spirituale dipende quella della nostra consacrazione”.
Di questa vita spirituale, il Papa indica infine come esempio nella vita monastica, da San Paolo, Sant’Antonio e dai Santi Padri nel deserto, e chiede che dal loro esempio possano essere anche loro “luce e sale, motivo cioè di salvezza per voi stessi e per tutti gli altri, credenti e non, e specialmente per gli ultimi, i bisognosi, gli abbandonati e gli scartati”.
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Prima della partenza, ci sarà il rinnovo, davanti a Papa Francesco, delle promesse di vita consacrata.
di Andrea Gagliarducci per AciPrensa in italiano
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