L’Udienza Generale per la prima volta si è svolta nel Cortile di San Damaso…
Da oggi e per la prima volta, l’Udienza Generale del mercoledì si svolge nel Cortile di San Damaso del palazzo apostolico vaticano.
Riprendono così, sei mesi dopo l’ultima udienza generale con i fedeli in piazza San Pietro, il 26 febbraio scorso, le udienze in presenza, interrotte a causa delle misure restrittive imposte dalla pandemia di Covid-19 ancora in atto.
Per uscire migliori da questa crisi bisogna farlo insieme, risvegliando la solidarietà, che indica molto di più di qualche atto sporadico di generosità: richiede “una nuova mentalità che pensi in termini di comunità”, “di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni”, si tratta di giustizia. Ed è quanto mai necessaria oggi che viviamo in un “villaggio globale” in un mondo dove purtroppo accade che cada “qualche quota del mercato finanziario” e la notizia è in tutte le agenzie, come si è visto anche in questi giorni, mentre “cadono migliaia di persone a causa della fame e nessuno ne parla”. Lo ricorda il Papa che sorridente torna da stamani a tenere le catechesi con la partecipazione delle persone nel rispetto delle norme sanitarie imposte dal Covid.
Forte la gioia quindi dei fedeli, giovani, anziani, religiosi, che lo accolgono nel Cortile di San Damaso. Ma anche quella del Papa che esplicitamente dice come sia bello riprendere “il nostro incontro faccia a faccia e non schermo a schermo”. Una ripresa che avviene mentre prosegue il ciclo di catechesi su quei principi, offerti dalla Chiesa, per “la guarigione del tessuto personale e sociale” indicati da Francesco nella prima catechesi di questo cammino, il 5 agosto.
Proprio l’attuale pandemia ha, infatti, evidenziato l’interdipendenza che però – avverte – può diventare dipendenza di alcuni da altri aumentando la diseguaglianza quando si dimentica l’origine comune in Dio e non sempre quindi la trasformiamo in solidarietà. Questo è un lungo cammino. “Gli egoismi – individuali, nazionali e dei gruppi di potere – e le rigidità ideologiche alimentano al contrario «strutture di peccato»”, dice Papa Francesco richiamandosi ampiamente all’Enciclica Sollicitudo rei socialis di san Giovanni Paolo II e riflettendo gli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa nella situazione odierna.
Il racconto della Torre di Babele mostra proprio cosa accada all’uomo quando cerca di arrivare al cielo ignorando il legame con l’umano, il creato e il Creatore: “Costruiamo torri e grattacieli, ma distruggiamo la comunità. Unifichiamo edifici e lingue, ma mortifichiamo la ricchezza culturale. Vogliamo essere padroni della Terra, ma roviniamo la biodiversità e l’equilibrio ecologico”.
L’esperienza della Pentecoste è invece diametralmente opposta. “Con la Pentecoste – rileva – Dio si fa presente e ispira la fede della comunità unita nella diversità e nella solidarietà”. Proprio “una diversità solidale possiede gli “anticorpi” affinché la singolarità di ciascuno – che è un dono, unico e irripetibile – non si ammali” di egoismo, evidenzia. Diversità e solidarietà unite in armonia, questa è la strada:
La diversità solidale possiede anche gli anticorpi per guarire strutture e processi sociali che sono degenerati in sistemi di ingiustizia, in sistemi di oppressione (cfr Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 192). Quindi, la solidarietà oggi è la strada da percorrere verso un mondo post-pandemia, verso la guarigione delle nostre malattie interpersonali e sociali.
Il Papa sottolinea ancora, come altre volte, che da una crisi si esce migliori o peggiori e che la scelta sta a noi:
La solidarietà è proprio una strada per uscire dalla crisi migliori, non con cambiamenti superficiali, con una verniciata così e tutto è apposto. No. Migliori! Nel mezzo di crisi, una solidarietà guidata dalla fede ci permette di tradurre l’amore di Dio nella nostra cultura globalizzata, non costruendo torri o muri – e quanti muri si stanno costruendo oggi – che dividono, ma e poi crollano, ma tessendo comunità e sostenendo processi di crescita veramente umana e solida.
Il Papa rimarca che la “sindrome di Babele” viene descritta anche in un racconto medioevale dove durante la costruzione della torre se cadeva un mattone, tutti si lamentavano perché costava mentre se cadeva un uomo e moriva, nessuno diceva nulla. “Un mattone valeva più della vita”, quindi. Purtroppo anche oggi può succedere qualcosa di simile.
Diametralmente opposta è l’esperienza della Pentecoste dove lo Spirito crea “l’unità nella diversità”, l’armonia, mentre a Babele c’era l’andare avanti per guadagnare, la mera ‘forza-lavoro’”. Nella Pentecoste invece ciascuno partecipa con tutto il suo essere alla costruzione della comunità, come san Francesco d’Assisi sapeva chiamando tutte le persone, e persino le creature, fratello e sorella.
Il Papa poi chiede quindi di attivare questa solidarietà “capace di dare solidità, sostegno e un senso a queste ore in cui tutto sembra naufragare” invitando a pensare anche ai bisogni degli altri.
A conclusione della catechesi, dopo i saluti in lingua italiana, il Papa ha chiamato accanto a sé un giovane sacerdote che gli ha consegnato la bandiera della terra dei cedri, e ha pronunciato – fuori programma – il suo appello, che si è concluso con l’annuncio di una Giornata di preghiera e di digiuno universale, indetta il 4 settembre e accompagnata dall’invio in Libano del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, quale rappresentante del Santo Padre ed espressione della sua “vicinanza e solidarietà” al Paese, messo a dura prova dalla recente esplosione a Beirut.
“Ad un mese dalla tragedia – le parole del Papa – il mio pensiero va al caro Libano e a questa popolazione duramente provata”. “Il Libano non può essere abbandonato alla sua solitudine”, l’appello per un luogo che per oltre 100 anni è stato “un Paese di speranza” e “un luogo di tolleranza, di rispetto, di convivenza unico nella regione”.
Nelle parole del Papa, “il Libano rappresenta qualcosa di più di uno Stato: è un messaggio di libertà, un esempio di pluralismo tanto per l’Oriente quanto per l’Occidente. Non possiamo permettere che questo patrimonio vada disperso”. Poi il riferimento particolare agli abitanti di Beirut, affinché non abbandonino le loro case e le loro comunità, e ai pastori locali, esortati a dare esempi di povertà – “niente lusso” – a fianco del loro popolo che sta soffrendo.
Al termine dell’udienza, il Santo Padre ha esortato i fedeli presenti ad alzarsi in piedi, insieme a lui, per pregare in silenzio per il Libano e affidare la terra dei cedri alla protezione di Maria. (agensir.it)
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