Tre i “tratti comuni” che “contribuiscono a delineare il nostro profilo di pastori”, ha detto il Papa in apertura della 66ª Assemblea generale della Cei, articolando il suo discorso in tre parti. Il primo tratto è l’essere “pastori di una Chiesa che è comunità del Risorto”: “Chiediamoci chi è Gesù per me, come ha segnato la mia storia, che dice di Lui la mia vita”, ha detto il Papa invitando i vescovi alla “custodia”, alla “preghiera assidua”, perché “le tentazioni che cercano di oscurare il senso di Dio sono legioni”. Tra queste, il Papa ha citato “la tiepidezza che scade nella mediocrità, la ricerca del quieto vivere che schiva il sacrificio”, l’accidia di chi considera “tutto un peso”, la presunzione di chi pretende di “far conto solo sulle sue forze”, contando “sull’abbondanza delle strutture” e sulle “strategie che sa mettere in campo”. “Se ci allontaniamo da Cristo, se l’incontro con Lui perde la sua freschezza, andiamo incontro alla sterilità delle nostre persone e delle nostre iniziative”, ha ammonito il Papa, secondo il quale “i piani pastorali servono, ma la nostra fiducia è riposta altrove”. Di qui l’invito a tenere “fisso lo sguardo su Gesù, che è il centro del tempo e della storia: è Lui ciò che di più prezioso abbiamo da offrire alla gente, pena il lasciarla in balia della sofferenza se non della disperazione”.
“È venuto il momento di dare a noi stessi, di imprimere alla vita ecclesiale italiana un forte e rinnovato spirito di unità”. Lo ha detto il Papa in apertura della 66ª Assemblea generale della Cei, per spiegare il secondo “tratto” essenziale per i vescovi: l’essere “pastori di una Chiesa che è corpo del Signore”. “Che immagine ho della mia Chiesa, della mia comunità ecclesiale?”, si è chiesto il Papa: “Sono figlio, oltre che pastore? Quanto sono disposto a soffrire per essa?”. La Chiesa, ha affermato Francesco, “è l’altra grazia di cui sentirci profondamente grati: se abbiamo incontrato il Risorto, è in virtù del suo corpo”. Essere sacramento di unità “richiede il cuore spogliato di ogni interesse mondano, lontano da vanità e discordia”, ha ammonito il Papa, che ha definito “attuali le parole con cui Paolo VI, esattamente cinquant’anni fa, si rivolgeva ai membri della Conferenza episcopale italiana: una questione vitale per la Chiesa è il servizio all’unità”, le sue parole, che il Papa ha annunciato di voler consegnare per iscritto ad ognuno dei vescovi. “La povertà di comunione è lo scandalo più grande”, ha denunciato, “è un’eresia che deturpa il volto del Signore e dilania la sua Chiesa. Meglio cedere, meglio rinunciare, piuttosto che lacerare la tunica e scandalizzare il popolo di Dio”.
“Quanto è vuoto il cielo di chi è ossessionato da se stesso!”. Così il Papa ha chiosato la parte del discorso in cui ha citato le “tentazioni” più frequenti per i vescovi: “La gestione personalistica del tempo, le chiacchiere, le mezze verità che diventano bugie, la litania delle lamentele, la durezza di chi giudica senza coinvolgere se stesso e il lassismo” di chi non fa nulla per modificare una situazione, “il rodersi della gelosia, l’accecamento dell’invidia, le consorterie”, ma anche il “ripiegamento di chi cerca nel passato le sicurezze perdute umiliando i doni con cui il Signore continua a rendere giovane e bella la sua Chiesa”. È la “coscienza ecclesiale”, per il Papa, “l’antidoto più efficace” a queste tentazioni: “La capacità di fare proprio l’atteggiamento di sincera gratitudine e di conservare quella pace che non si lascia sopraffare dai conflitti”, senza “cullarsi nel sogno di ricominciare sempre altrove”. “Partecipazione e collegialità”, “discernimento pastorale” che si nutre della “fatica del pensare insieme”: è la ricetta del Papa per la fraternità episcopale, che non disdegna – come diceva Paolo II – la “libera e ampia possibilità di indagine, di discussione”.
“È importante che ognuno dica quello che sente: questo edifica la Chiesa, aiuta, dirlo senza vergogna”. Lo ha detto a braccio il Papa, che nel suo discorso ha esortato i vescovi italiani a “valorizzare le diocesi, anche quelle più piccole” e a impostare “relazioni di qualità, che abbattono le distanze e avvicinano i territori”. “I nostri sacerdoti sono provati, a volte scoraggiati”, ha proseguito: “Educhiamoli a non fermarsi a calcolare le entrate e le uscite”. “Più che di bilanci, è un tempo di pazienza”, ha affermato Francesco, che ai vescovi ha raccomandato: “Amate con dedizione le vostre comunità, ascoltate il gregge. Abbiate fiducia che il popolo santo di Dio ha il polso per trovare le strade giuste”. “Date spazio alle donne e ai giovani, per non attardarvi in una pastorale di conservazione, per una pastorale che faccia perno sull’essenziale”, che consiste nell’“amarlo e farlo amare”, come diceva Santa Teresina del Bambin Gesù. “Nel nostro contesto spesso confuso e disgregato, la prima missione ecclesiale che dobbiamo vivere è essere lievito di unità”, ha ribadito il Papa: “Solo insieme riusciremo!”.
Il servizio è stato pubblicato dall’Agenzia Sir dei Vescovi Italiani
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