Non “una riflessione sistematica sulla figura del sacerdote” ma un invito a “capovolgere la prospettiva e a metterci in ascolto, in contemplazione” di uno dei “tanti parroci che si spendono nelle nostre comunità”. Così Papa Francesco ha riassunto oggi pomeriggio il fine del suo discorso di apertura dei lavori della 69ª assemblea generale della Conferenza episcopale italiana (Vaticano, 16-19 maggio), dedicata al “rinnovamento del clero”.
Papa Francesco, che prima ha rivolto alcune parole di saluto ai nuovi vescovi presenti, si è detto “particolarmente contento di aprire l’assemblea” per il tema “posto come filo conduttore dei lavori, nella volontà di sostenere la formazione lungo le diverse stagioni della vita”. E ha invitato i vescovi italiani ad “avvicinarsi, quasi in punta di piedi, a qualcuno dei tanti parroci”: “Lasciamo che il volto di uno di loro passi davanti agli occhi del nostro cuore e chiediamoci con semplicità: che cosa ne rende saporita la vita? Per chi e per che cosa impegna il suo servizio? Qual è la ragione ultima del suo donarsi? Vi auguro che queste domande possano riposare dentro di voi nel silenzio, nella preghiera tranquilla, nel dialogo franco e fraterno: le risposte che fioriranno vi aiuteranno a individuare anche le proposte formative su cui investire con coraggio”.
Il sacerdote non ha un’agenda da diffondere
“Il nostro prete non ha un’agenda da difendere, ma consegna ogni mattina al Signore il suo tempo per lasciarsi incontrare dalla gente e farsi incontro”. Lo ha affermato Papa Francesco aprendo oggi pomeriggio i lavori della 69ª assemblea generale della Conferenza episcopale italiana (Vaticano, 16-19 maggio), dedicata al “rinnovamento del clero”. A fare da filo conduttore del discorso del Papa tre domande: “Che cosa dà sapore alla vita del ‘nostro’ presbitero? Per chi e per che cosa impegna il suo servizio? Qual è la ragione ultima del suo donarsi?”. Riflettendo sulla prima, Francesco ha ricordato che “il contesto culturale è molto diverso da quello in cui il nostro presbitero ha mosso i primi passi nel ministero. Anche in Italia tante tradizioni, abitudini e visioni della vita sono state intaccate da un profondo cambiamento d’epoca. Noi, che spesso ci ritroviamo a deplorare questo tempo con tono amaro e accusatorio, dobbiamo avvertirne anche la durezza: nel nostro ministero, quante persone incontriamo che sono nell’affanno per la mancanza di riferimenti a cui guardare! Quante relazioni ferite! In un mondo in cui ciascuno si pensa come la misura di tutto, non c’è più posto per il fratello. Su questo sfondo, la vita del nostro presbitero diventa eloquente, perché diversa, alternativa”.
Appartenenza al Signore, alla Chiesa, al Regno
“Il nostro presbitero con i suoi limiti, è uno che si gioca fino in fondo: nelle condizioni concrete in cui la vita e il ministero l’hanno posto, si offre con gratuità, con umiltà e gioia. Anche quando nessuno sembra accorgersene. Anche quando intuisce che, umanamente, forse nessuno lo ringrazierà a sufficienza del suo donarsi senza misura”. Lo ha affermato Papa Francesco aprendo oggi pomeriggio i lavori della 69ª assemblea generale della Conferenza episcopale italiana (Vaticano, 16-19 maggio), dedicata al “rinnovamento del clero”. Riflettendo sulla ragione ultima del donarsi del sacerdote, il Papa ha spiegato che questo “è uomo della Pasqua, dallo sguardo rivolto al Regno, verso cui sente che la storia umana cammina, nonostante i ritardi, le oscurità e le contraddizioni. Il Regno – la visione che dell’uomo ha Gesù – è la sua gioia, l’orizzonte che gli permette di relativizzare il resto, di stemperare preoccupazioni e ansietà, di restare libero dalle illusioni e dal pessimismo; di custodire nel cuore la pace e di diffonderla con i suoi gesti, le sue parole, i suoi atteggiamenti”. Ecco, ha concluso Francesco, “la triplice appartenenza che ci costituisce: appartenenza al Signore, alla Chiesa, al Regno. Questo tesoro in vasi di creta va custodito e promosso! Avvertite fino in fondo questa responsabilità, fatevene carico con pazienza e disponibilità di tempo, di mani e di cuore”.
Il sacerdote è distante dalla freddezza del rigorista
“Il nostro presbitero, come Mosè, si è avvicinato al fuoco e ha lasciato che le fiamme bruciassero le sue ambizioni di carriera e potere. Ha fatto un rogo anche della tentazione di interpretarsi come un ‘devoto’, che si rifugia in un intimismo religioso che di spirituale ha ben poco”. Lo ha affermato Papa Francesco aprendo oggi pomeriggio i lavori della 69ª assemblea generale della Conferenza episcopale italiana (Vaticano, 16-19 maggio), dedicata al “rinnovamento del clero”. Riflettendo su “cosa dà sapore alla vita” del sacerdote, il Papa ha utilizzato l’immagine di Mosè e del “roveto ardente”: “È scalzo, il nostro prete, rispetto a una terra che si ostina a credere e considerare santa. Non si scandalizza per le fragilità che scuotono l’animo umano: consapevole di essere lui stesso un paralitico guarito, è distante dalla freddezza del rigorista, come pure dalla superficialità di chi vuole mostrarsi accondiscendente a buon mercato. Dell’altro accetta, invece, di farsi carico, sentendosi partecipe e responsabile del suo destino. Con l’olio della speranza e della consolazione, si fa prossimo di ognuno, attento a condividerne l’abbandono e la sofferenza”.
La comunione è uno dei nomi della Misericordia
“L’appartenenza” al “popolo santo di Dio” è “il sale della vita del presbitero; fa sì che il suo tratto distintivo sia la comunione, vissuta con i laici in rapporti che sanno valorizzare la partecipazione di ciascuno”. Lo ha ricordato Papa Francesco aprendo oggi pomeriggio i lavori della 69ª assemblea generale della Conferenza episcopale italiana (Vaticano, 16-19 maggio), dedicata al “rinnovamento del clero”. “In questo tempo povero di amicizia sociale – ha detto il Papa – il nostro primo compito è quello di costruire comunità; l’attitudine alla relazione è, quindi, un criterio decisivo di discernimento vocazionale”. Allo stesso modo, ha aggiunto, “per un sacerdote è vitale ritrovarsi nel cenacolo del presbiterio. Questa esperienza – quando non è vissuta in maniera occasionale, né in forza di una collaborazione strumentale – libera dai narcisismi e dalle gelosie clericali; fa crescere la stima, il sostegno e la benevolenza reciproca; favorisce una comunione non solo sacramentale o giuridica, ma fraterna e concreta. Nel camminare insieme di presbiteri, diversi per età e sensibilità, si spande un profumo di profezia che stupisce e affascina. La comunione è davvero uno dei nomi della Misericordia”.
di Redazione Papaboys (Fonte: Agenzia Sir)
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