Siate vicini al popolo, testimoniando a tutti la gioia del Vangelo. E’ l’esortazione rivolta da Papa Francesco ai vescovi consacrati nell’ultimo anno. Un’udienza fraterna, nella quale il Vescovo di Roma ha chiesto ai nuovi presuli di non “essere spenti o pessimisti”, custodi di un “fortino” che si vede “assalito”. Il Papa ha inoltre ammonito i vescovi dal cadere nella tentazione di circondarsi di corti e cordate.
“E’ bello veder rispecchiato nel volto il mistero di ciascuno e poter leggere quanto Cristo vi ha scritto”. Papa Francesco ha sintetizzato così la bellezza e la gioia dell’incontro fraterno con i nuovi vescovi. Un’occasione per il Vescovo di Roma di incoraggiare i confratelli all’inizio del cammino di pastori alla guida del gregge loro affidato. Il Papa ha incentrato il suo discorso sull’amore che sempre deve legare il pastore al popolo. Ed ha rammentato che sin dal Concilio di Trento si sottolineava che “quando latita il Pastore o non è reperibile, sono in gioco la cura pastorale e la salvezza delle anime”. Francesco ha, dunque, tracciato un ritratto di come dovrebbe essere un buon pastore. Ed ha messo in guardia da vescovi che sono “contenti in superficie”, ma non cercando lo Spirito in profondità:
“Per favore, non siate Vescovi con scadenza fissata, che hanno bisogno di cambiare sempre indirizzo, come medicine che perdono la capacità di guarire, o come quegli insipidi alimenti che sono da buttare perché oramai resi inutili (cfr Mt 5,13). È importante non bloccare la forza risanatrice che sgorga dall’intimo del dono che avete ricevuto, e questo vi difende dalla tentazione di andare e venire senza meta, perché ‘nessun vento è favorevole a chi non sa dove va’”.
“Per abitare pienamente nelle vostre Chiese – ha ripreso – è necessario abitare sempre in Lui e da Lui non scappare: dimorare nella sua Parola, nella sua Eucaristia”:
“Pertanto, non Vescovi spenti o pessimisti, che, poggiati solo su sé stessi e quindi arresi all’oscurità del mondo o rassegnati all’apparente sconfitta del bene, ormai invano gridano che il fortino è assalito. La vostra vocazione non è di essere guardiani di una massa fallita, ma custodi dell’Evangelii gaudium, e pertanto non potete essere privi dell’unica ricchezza che veramente abbiamo da donare e che il mondo non può dare a sé stesso: la gioia dell’amore di Dio”.
Il Papa ha quindi esortato i nuovi vescovi a non lasciarsi “illudere dalla tentazione di cambiare di popolo”:
“Amate il popolo che Dio vi ha dato, anche quando loro avranno ‘commesso grandi peccati’, senza stancarvi di ‘salire dal Signore’ per ottenere perdono e un nuovo inizio, anche al prezzo di veder cancellate tante vostre false immagini del volto divino o le fantasie che avete alimentato circa il modo di suscitare la sua comunione con Dio (cfr Es 32,30-31)”.
Papa Francesco ha quindi raccomandato ai nuovi presuli di essere vicini ai sacerdoti. “Ce ne sono tanti – ha affermato – che non cercano più dove Lui abita, o che dimorano in altre latitudini esistenziali, alcuni nei bassifondi”. Altri, “vivono come se non ci fossero più padri o si illudono di non aver bisogno di padri”. Do qui l’esortazione a “trovare spazio” per i propri sacerdoti: “riceverli, accoglierli, ascoltarli, guidarli”. Vorrei vescovi, ha soggiunto, “rintracciabili non per la quantità dei mezzi di comunicazione di cui disponete, ma per lo spazio interiore che offrite per accogliere le persone e i loro concreti bisogni, dando loro l’interezza e la larghezza dell’insegnamento della Chiesa, e non un catalogo di rimpianti”:
“E l’accoglienza sia per tutti senza discriminazione, offrendo la fermezza dell’autorità che fa crescere e la dolcezza della paternità che genera. E, per favore, per favore, non cadete nella tentazione di sacrificare la vostra libertà circondandovi di corti, cordate o cori di consenso, poiché nelle labbra del Vescovo la Chiesa e il mondo hanno il diritto di trovare sempre il Vangelo che rende liberi”.
Di qui, Francesco ha rivolto nuovamente l’attenzione al Popolo di Dio. “Questo Popolo – ha detto – ha bisogno della vostra pazienza per curarlo, per farlo crescere”. So bene, ha constatato, “quanto si è reso deserto il nostro tempo”. Per questo serve “la pazienza di Mosè”, “senza paura di morire come esuli, ma consumando fino all’ultima energia vostra non per voi ma per far entrare in Dio coloro che guidate”. “Niente – ha detto il Papa – è più importante che introdurre le persone in Dio!”. Nella parte finale del discorso, il Papa ha esortato i vescovi ad essere “le sentinelle, capaci di svegliare” le proprie Chiese, alzandosi “prima dall’alba o in mezzo alla notte per ridestare la fede, la speranza, la carità”. E questo senza lasciarsi “assopire o conformare con il lamento nostalgico di un passato fecondo ma ormai tramontato”. Bisogna scavare ancora nelle “sorgenti, con il coraggio di rimuovere le incrostazioni che hanno coperto la bellezza” e il vigore degli “antenati pellegrini e missionari che hanno impiantato Chiese e creato civiltà”:
“Dialogate con rispetto con le grandi tradizioni nelle quali siete immersi, senza paura di perdervi e senza bisogno di difendere le vostre frontiere, perché l’identità della Chiesa è definita dall’amore di Cristo che non conosce frontiera. Pur custodendo gelosamente la passione per la verità, non sprecate energie per contrapporsi e scontrarsi ma per costruire e amare”.
Il servizio è di Alessandro Gisotti per la Radio Vaticana