Il Papa, dopo aver ascoltato alcune testimonianze, ha detto che il vero problema, prima di essere politico e sociale, è legato ad una distanza:
È questo il problema di oggi: se voi mi dite che è un problema politico, un problema sociale, che è un problema culturale, un problema di lingua: sono cose secondarie. Il problema è un problema di distanza tra la mente e il cuore. Questo: è un problema di distanza.
L’aggettivo, il definire alcune persone attraverso stereotipi, spiega il Papa, “è una delle cose che crea distanze tra la mente e il cuore”. Francesco sottolinea poi che effettivamente “ci sono cittadini di seconda classe”:
Ma i veri cittadini di seconda classe sono coloro che scartano la gente: questi sono di seconda, perché non sanno abbracciare.
Rivolgendosi al popolo rom, il Pontefice ricorda che “tutti abbiamo sempre un pericolo”: “la debolezza forse di lasciar crescere il rancore”:
Ma vi chiedo, per favore, il cuore più grande, più largo ancora: niente rancore. E andare avanti con la dignità: la dignità della famiglia, la dignità del lavoro, la dignità di guadagnarsi il pane di ogni giorno. È questo che ti porta avanti: la dignità della preghiera.
Francesco condanna dunque le vie dello scarto, quelle costruite con gli aggettivi e il chiacchiericcio. E indica una strada, quella della fratellanza, da percorrere attraverso la speranza “concreta in Dio vero”, che “mai delude”. Ed è una speranza concreta, afferma infine il Papa “una donna che porta un figlio al mondo”. “Semina speranza, è capace di fare strada, di creare orizzonti, di dare speranza”.
“Ognuno di noi – ha detto don Cristian Di Silvio, uno zingaro diventato prete – è dono, ognuno di noi è ricchezza, se abbiamo come modello Gesù Cristo”. “La mia storia – ha aggiunto – è una storia ordinaria, resa straordinaria dal fatto che Dio mi ha scelto da un popolo che vive una condizione culturale differente dagli stereotipi con cui siamo abituati a relazionarci”. “Ciò che ha reso ancora più straordinaria la mia storia vocazionale – ha detto don Di Silvio – è stato il comprendere, nonostante mi dicessero il contrario, che non sono un diverso ma, come ognuno di noi presente in questa sala e non solo, unico e irripetibile”.
Tre mamme rom in rappresentanza di un gruppo più ampio di donne che vivono in una zona periferica di Roma, hanno poi ricordato che non è facile, nell’Italia di oggi, “trovare un lavoro che assicuri dignità e sostentamento economico”. “Discorsi di odio, ma anche azioni violente sono in costante aumento”. Ci sono poi altre problematiche, hanno aggiunto, legate ad “alloggi non adeguati”, a “sgomberi forzati organizzati dalle autorità in assenza di alternative adeguate”. Ma queste difficoltà non bloccano la speranza: “Guardiamo però al futuro con speranza. Siamo donne – hanno sottolineato – e siamo mamme, e questo ci dà la forza di andare avanti per migliorare le condizioni di vita nostre e dei nostri figli”.
Prima delle testimonianze, il presidente della Conferenza episcopale italiana cardinale Gualtiero Bassetti, ha ricordato le parole che trenta anni fa gli aveva rivolto un suo amico rom: “Vede padre – aveva detto questa persona rom – le vere distanze non sono quelle chilometriche, perché oggi a raggiungere tutti i Paesi della terra si fa presto; ma le vere distanze oggi sono quelle fra la testa e il cuore”.
Nel mondo rom e sinti sono circa 36 milioni e in Europa quasi 12 milioni. In Italia sono almeno 170 mila. Il santo patrono della popolazione rom è il beato Zefirino Giménez Malla, terziario francescano, fucilato nel 1936 durante la Guerra civile spagnola e gettato in una fossa comune per aver difeso un prete e il suo Rosario. (Fonte Vatican News – Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano)
Redazione Papaboys
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