Isabella Piro – Città del Vaticano per Vaticannews.va
Si può essere grati alla fine di un anno faticoso come il 2021, “tempo di pandemia” che ha accresciuto nel mondo “il senso di smarrimento”? Sì, si può e si deve essere grati: Papa Francesco lo spiega nella sua omelia per i Primi Vespri nella solennità di Maria Santissima Madre di Dio, celebrati questo pomeriggio in una Basilica vaticana illuminata dal rosso delle stelle di Natale che addobbano l’altare della Confessione.
A presiedere il rito è il cardinale Giovanni Battista Re, decano del Collegio cardinalizio, mentre il Pontefice segue la celebrazione dalla sede posizionata davanti all’altare della Confessione. Si può e si deve essere grati – afferma Francesco che si reca a leggere l’omelia – come fa la Vergine, Colei che “contemplando il Figlio sente la vicinanza di Dio, sente che Dio non ha abbandonato il suo popolo, è venuto, è vicino, è Dio-con-noi”.
I problemi non sono spariti, le difficoltà e le preoccupazioni non mancano, ma non siamo soli: il Padre «ha mandato il suo Figlio» (Gal 4,4) per riscattarci dalla schiavitù del peccato e restituirci la dignità di figli. Lui, l’Unigenito, si è fatto primogenito tra molti fratelli, per ricondurre tutti noi, smarriti e dispersi, alla casa del Padre.
Il senso del Natale, sottolinea il Pontefice, è proprio questo: vivere lo stupore, ma non quello limitato ad un’emozione superficiale o legato alla frenesia consumistica”:
Se il Natale si riduce a questo, nulla cambia: domani sarà uguale a ieri, l’anno prossimo sarà come quello passato, e così via. Vorrebbe dire riscaldarsi per pochi istanti ad un fuoco di paglia, e non invece esporsi con tutto il nostro essere alla forza dell’Avvenimento, non cogliere il centro del mistero della nascita di Cristo.
Ciò che occorre, invece, spiega Francesco, è avere il cuore “colmo di stupore, ma senza ombra di romanticismi, di sdolcinatezze, di spiritualismi”, così da essere come Maria, “la prima testimone, la più grande perché la più umile”:
La Madre ci riporta alla realtà, alla verità del Natale, che è racchiusa in quelle tre parole di San Paolo: «nato da donna» (Gal 4,4). Lo stupore cristiano non trae origine da effetti speciali, da mondi fantastici, ma dal mistero della realtà: non c’è nulla di più meraviglioso e stupefacente della realtà! Un fiore, una zolla di terra, una storia di vita, un incontro… Il volto rugoso di un vecchio e il viso appena sbocciato di un bimbo. Una mamma che tiene in braccio il suo bambino e lo allatta. Il mistero traspare lì.
Lo stupore di Maria è colmo di gratitudine, continua il Papa, e questo atteggiamento può guidare il mondo, anche nel difficile contesto della pandemia, in cui si è passati dalla “tentazione del ‘si salvi chi può’ al senso di responsabilità”:
Veramente possiamo e dobbiamo dire “grazie a Dio”, perché la scelta della responsabilità solidale non viene dal mondo: viene da Dio; anzi, viene da Gesù Cristo, che ha impresso una volta per sempre nella nostra storia la “rotta” della sua vocazione originaria: essere tutti sorelle e fratelli, figli dell’unico Padre.
Poi, lo sguardo di Francesco, vescovo di Roma, va alla Città eterna che “porta scritta nel cuore” e custodisce in sé un’apertura universale” che deriva “dalla sua storia, dalla sua cultura, dal Vangelo” radicato nel “sangue dei martiri”. Ma Roma – afferma mentre ad ascoltarlo è presente in Basilica anche il sindaco della capitale Gualtieri – non deve essere “accogliente e fraterna” solo a parole, bensì anche nei fatti, dando attenzione quotidiana alle famiglie, ai disabili, agli utenti del traporto pubblico, a chi vive nelle periferie, a chi ha bisogno dei servizi sociali. Una città che guarda ad ognuno dei suoi figli, dei suoi abitanti, dei suoi ospiti:
Roma è una città meravigliosa, che non finisce di incantare; ma per chi ci vive è anche una città faticosa, purtroppo non sempre dignitosa per i cittadini e per gli ospiti, una città che a volte scarta. L’auspicio allora è che tutti, chi vi abita e chi vi soggiorna per lavoro, pellegrinaggio o turismo, tutti possano apprezzarla sempre più per la cura dell’accoglienza, della dignità della vita, della casa comune, dei più fragili e vulnerabili. Che ognuno possa stupirsi scoprendo in questa città una bellezza che direi “coerente”, e che suscita gratitudine. Questo è il mio augurio per questo anno.
L’omelia del Pontefice si conclude con un invito alla speranza, quella che “non delude”, perché deriva dal seguire Gesù e dall’avere fiducia in Lui, Lui che “dà pienezza al tempo, dà senso alle opere e ai giorni”, ai momenti dolorosi e a quelli lieti.
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