Incisivo nella denuncia della corruzione, nemico giurato di teorie e sofismi quando si mette a servizio della gente che gli è affidata, sostenuto da laici responsabili e capaci e non circondato da automi che fanno solo quello che dice il parroco. E soprattutto unito e concorde con i suoi confratelli, con i sacerdoti che dalla sua guida dipendono e col Papa.
Difensori dei più deboli
Questo deve fare un vescovo ma può riuscirvi solo a una condizione, afferma Francesco senza troppi preamboli aprendo i lavori della Cei: quella di avere un cuore che batte in sintonia con quello di Cristo, avere i suoi sentimenti – umiltà, compassione, misericordia, concretezza, saggezza. Sentimenti che Francesco dapprima elenca e poi riassume in una espressione di due parole, “sensibilità ecclesiale”, quella – dice – che “come buoni pastori ci fa uscire verso il popolo di Dio per difenderlo dalle colonizzazioni ideologiche che gli tolgono l’identità e la degnità umana”:
“La sensibilità ecclesiale che comporta anche di non essere timidi o irrilevanti nello sconfessare e nello sconfiggere una diffusa mentalità di corruzione pubblica e privata che è riuscita a impoverire, senza alcuna vergogna, famiglie, pensionati, onesti lavoratori, comunità cristiane, scartando i giovani, sistematicamente privati di ogni speranza sul loro futuro, e soprattutto emarginando i deboli e i bisognosi”.
No alle astrazioni
Francesco che chiede concretezza ai vescovi attenti di fronte a lui è il primo che dà l’esempio con indicazioni nette, come nel caso dei documenti ecclesiali. Anche nel modo di concepirli, scriverli e comunicarli si dimostra, afferma, “sensibilità ecclesiale”:
“Non deve prevalere l’aspetto teoretico-dottrinale astratto, quasi che i nostri orientamenti non siano destinati al nostro Popolo o al nostro Paese – ma soltanto ad alcuni studiosi e specialisti – invece dobbiamo perseguire lo sforzo di tradurle in proposte concrete e comprensibili”.
Largo ai laici senza “pilota”
Originale poi è il modo in cui il Papa lega l’aspetto della sensibilità ecclesiale al tema dei laici nella Chiesa. Il loro ruolo è “indispensabile”, ripete, e certamente va rafforzato perché siano “disposti ad assumersi le responsabilità che a loro competono”. E tuttavia, nota:
“I laici che hanno una formazione cristiana autentica non dovrebbero aver bisogno del Vescovo-pilota, o del monsignore-pilota o di un input clericale per assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli, da quello politico a quello sociale, da quello economico a quello legislativo! Hanno invece tutti la necessità del Vescovo Pastore!”
Uniti e concordi
C’è poi la questione delicata della “collegialità”, punto cruciale che rivela “concretamente”, sostiene Francesco, la presenza di una sensibilità ecclesiale. Collegialità vuol dire comunione tra i vescovi, fra le diocesi “ricche – materialmente e vocazionalmente – e quelle in difficoltà”, fra “le periferie e il centro”, tra “le conferenze episcopali e i vescovi con il Successore di Pietro”. La realtà, però, racconta altro:
“Si nota in alcune parti del mondo un diffuso indebolimento della collegialità, sia nella determinazione dei piani pastorali, sia nella condivisione degli impegni programmatici economico-finanziari. Manca l’abitudine di verificare la recezione di programmi e l’attuazione dei progetti, ad esempio, si organizza un convegno o un evento che, mettendo in evidenza le solite voci, narcotizza le Comunità, omologando scelte, opinioni e persone. Invece di lasciarci trasportare verso quegli orizzonti dove lo Spirito Santo ci chiede di andare”.
Svecchiare la vita religiosa
Dopo aver mostrato con un ulteriore esempio, quello dell’invecchiamento di Istituti religiosi, Monasteri e Congregazioni – che il Papa definisce “un problema mondiale” chiedendosi perché non si provveda “ad accorparli prima che sia tardi” – Francesco si dispone ad ascoltare i suoi interlocutori. Non prima di aver sottolineato, all’inizio del discorso, che pur in un momento storico che spesso ci vede, osserva, “accerchiati da notizie sconfortanti”, locali e internazionali, la “nostra vocazione cristiana ed episcopale è quella di andare contro corrente: ossia di essere testimoni gioiosi del Cristo Risorto per trasmettere gioia e speranza agli altri”.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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