(di Salvatore Cernuzio) Dinanzi a un’Europa “malata di stanchezza”, che ha perso di vista la visione “lungimirante” dei fondatori; dinanzi a una Chiesa concentrata su dibattiti e strategie con le porte spesso chiuse e le serrature cambiate, Papa Francesco invoca la “ricostruzione”. E ricorda l’esempio dei grandi santi Martino, Francesco, Domenico, Pio, e dei patroni Benedetto, Cirillo e Metodio, Brigida, Caterina, Teresa, che, non preoccupandosi di avversità e divisioni, hanno “ridato anima a persone e Paesi”. Come loro ogni cristiano oggi, nella sua “piccolezza” e “debolezza”, è chiamato a “ricostruire” il vecchio Continente, dice il Papa nella Messa per il 50.mo dell’istituzione della Ccee, il Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa. Membri e vertici (ad eccezione del presidente, il cardinale Angelo Bagnasco, che ha contratto il Covid, come egli stesso ha dichiarato) sono riuniti a Roma per l’assemblea plenaria che celebra inizi e sviluppi di questo organismo istituito nel 1971 e approvato da Paolo VI. Oggi pomeriggio sono tutti a San Pietro per la Messa con il Papa e per rinnovare, davanti alla Tomba dell’Apostolo Pietro, la professione di fede.
A loro e, idealmente, a ogni cristiano europeo, Francesco nell’omelia – dopo aver ricordato la memoria odierna di San Pio da Pietrelcina – affida un preciso mandato, declinato in tre azioni: “Riflettere, ricostruire, vedere”. “Tre verbi che ci interpellano come cristiani e pastori in Europa”, dice il Papa. “Riflettere”, anzitutto sull’atteggiamento dei credenti in Europa: “Abbiamo la tentazione di starcene comodi nelle nostre strutture, nelle nostre case e nelle nostre chiese, nelle sicurezze date dalle tradizioni, nell’appagamento di un certo consenso, mentre tutt’intorno i templi si svuotano e Gesù viene sempre più dimenticato”, sottolinea Francesco.
Riflettiamo: quante persone non hanno più fame e sete di Dio! Non perché siano cattive, no, ma perché manca chi faccia loro venire l’appetito della fede e riaccenda quella sete che c’è nel cuore dell’uomo: quella “concreata e perpetua sete” di cui parla Dante Alighieri e che la dittatura del consumismo, leggera ma soffocante, prova a estinguere.
“Tanti – annota il Papa – sono portati ad avvertire solo bisogni materiali, non la mancanza di Dio. E noi di certo ce ne preoccupiamo, ma quanto ce ne occupiamo davvero? È facile giudicare chi non crede, è comodo elencare i motivi della secolarizzazione, del relativismo e di tanti altri ismi, ma in fondo è sterile”. Allora, bisogna chiedersi:
Proviamo affetto e compassione per chi non ha avuto la gioia di incontrare Gesù oppure l’ha smarrita? Siamo tranquilli perché in fondo non ci manca nulla per vivere, oppure inquieti nel vedere tanti fratelli e sorelle lontani dalla gioia di Gesù?
Su un altro aspetto bisogna pooi riflettere: la mancanza di carità. “La mancanza di carità causa l’infelicità, perché solo l’amore sazia il cuore”, afferma Papa Francesco. A volte, invece, si rimane “chiusi nell’interesse per le proprie cose”, e ci si concentra “sulle varie posizioni nella Chiesa, su dibattiti, agende e strategie”, finendo per “perdere di vista il vero programma, quello del Vangelo: lo slancio della carità, l’ardore della gratuità”.
Dalla riflessione si passa alla ricostruzione, al lavoro, cioè, “per l’avvenire”. Ma di quale costruzione ha bisogno la casa comune europea? “Di lasciare le convenienze dell’immediato per tornare alla visione lungimirante dei padri fondatori, visione profetica e d’insieme, perché essi non cercavano i consensi del momento, ma sognavano il futuro di tutti”, rimarca il Pontefice. “Così sono state costruite le mura della casa europea e solo così si potranno rinsaldare”.
Ciò vale pure per la Chiesa: “Per renderla bella e ospitale, occorre guardare insieme all’avvenire, non restaurare il passato. Purtroppo, è di moda quel restaurazionismo del passato che ci uccide, ci uccide tutti”, dice Francesco a braccio. “Certo – afferma – dobbiamo ripartire dalle fondamenta, perché da lì si ricostruisce: dalla tradizione vivente della Chiesa, che ci fonda sull’essenziale, sul buon annuncio, sulla vicinanza e sulla testimonianza. Da qui si ricostruisce, dalle fondamenta della Chiesa delle origini e di sempre, dall’adorazione a Dio e dall’amore al prossimo, non dai propri gusti particolari”.
Tale lavoro di ricostruzione è stato già avviato dalla Ccee negli ultimi cinquant’anni. Il Papa ringrazia infatti per questo compito “non facile” e incoraggia ad andare “senza mai cedere allo scoraggiamento e alla rassegnazione”, ma nella certezza che “siamo chiamati dal Signore a un’opera splendida”, a lavorare perché “la Chiesa abbia le porte aperte a tutti e nessuno abbia la tentazione di concentrarsi solo a guardare e cambiare le serrature. Le piccole cose squisite, e noi siamo tentati… No, il cambiamento viene da un’altra parte”.
L’esempio è quello dei tanti santi e beati, laici e consacrati, i quali “hanno cominciato da sé stessi, dal cambiare la propria vita accogliendo la grazia di Dio”.
Non si sono preoccupati dei tempi bui, delle avversità e di qualche divisione, che c’è sempre stata. Non hanno perso tempo a criticare e colpevolizzare. Hanno vissuto il Vangelo, senza badare alla rilevanza e alla politica. Così, con la forza mite dell’amore di Dio, hanno incarnato il suo stile di vicinanza, compassione e tenerezza, e hanno costruito monasteri, bonificato terre, ridato anima a persone e Paesi: nessun programma sociale, solo il Vangelo.
Papa Francesco invita a compiere questo processo di ricostruzione “insieme, nel segno dell’unità. Con gli altri”. “Ci possono essere visioni diverse, ma va sempre custodita l’unità”, ribadisce, “perché, se custodiamo la grazia dell’insieme, il Signore costruisce anche lì dove non riusciamo”.
Ricostruire significa, quindi, farsi “artigiani di comunione, tessitori di unità a ogni livello: non per strategia, ma per Vangelo”. E se così si costruisce, si offre la possibilità di “vedere” agli uomini e le donne di oggi che pensano Gesù come qualcosa di “sentito dire” o di “già visto”.
Tanti in Europa pensano che la fede sia qualcosa di già visto, che appartiene al passato. Perché? Perché non hanno visto Gesù all’opera nelle loro vite. E spesso non lo hanno visto perché noi con le nostre vite non lo abbiamo mostrato abbastanza
Perché Dio, sottolinea il Papa, “si vede nei visi e nei gesti di uomini e donne trasformati dalla sua presenza. E se i cristiani, anziché irradiare la gioia contagiosa del Vangelo, ripropongono schemi religiosi logori, intellettualistici e moralistici, la gente non vede il Buon Pastore”.
È Cristo stesso, infatti, a chiedere non di “dimostrare”, ma di “mostrare Dio”, e di farlo “non a parole, ma con la vita”. Gesù chiede “preghiera e povertà, creatività e gratuità”, dice il Papa. Da qui, un ultimo appello:
Aiutiamo l’Europa di oggi, malata di stanchezza – questa è la malattia dell’Europa di oggi – a ritrovare il volto sempre giovane di Gesù e della sua sposa. Non possiamo che dare tutto noi stessi perchè si veda questa intramontabile bellezza.
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