Il discorso pronunciato da Papa Francesco nell’Aula della Benedizione in occasione dell’annuale incontro svoltosi stamane per la presentazione degli auguri natalizi ai membri del Collegio cardinalizio e della Curia romana.
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Tre i temi principali contenuti nel discorso pronunciato da Papa Francesco nell’Aula della Benedizione in occasione dell’annuale incontro per auguri natalizi ai membri del Collegio cardinalizio e della Curia romana.
Una “riflessione sulla crisi” provocata dalla pandemia, che “ci mette in guardia dal giudicare frettolosamente la Chiesa” con i suoi “scandali di ieri e di oggi”. Una raccomandazione a “non confondere la crisi con il conflitto”, perché la prima “generalmente ha un esito positivo”, mentre il secondo “crea sempre un contrasto”. E quindi un’esortazione a trovare “l’umiltà di dire che il tempo della crisi è un tempo dello Spirito”, perché “chi non guarda la crisi alla luce del Vangelo, si limita a fare l’autopsia di un cadavere”.
Il Pontefice ha preso spunto dall’intuizione di Hannah Arendt, che “sulle rovine dei totalitarismi del novecento, riconosce” come “il miracolo che preserva il mondo” si trovi nelle “poche parole con cui il Vangelo annunciò: ‘Un bambino è nato fra noi'”. Di conseguenza, ha spiegato Francesco, “troviamo il posto giusto solo se siamo disarmati, umili, essenziali”, realizzando “«nell’ambiente in cui viviamo il programma di vita suggerito da San Paolo” o immaginandoci “nella scena del presepe”, come chiede sant’Ignazio di Loyola. A maggior ragione, ha aggiunto il Pontefice, in questo “Natale della pandemia, della crisi sanitaria, economica sociale e persino ecclesiale che ha colpito ciecamente il mondo intero”, nel quale essa “ha smesso di essere un luogo comune dei discorsi e dell’establishment intellettuale per diventare una realtà condivisa da tutti. Questo flagello è stato un banco di prova non indifferente e, nello stesso tempo, una grande occasione per convertirci e recuperare autenticità”.
Dopo aver ricordato come anche la Bibbia sia “popolata di persone che sono state ‘passate al vaglio’, di ‘personaggi in crisi’ che però proprio attraverso di essa compiono la storia della salvezza”, il vescovo di Roma ha offerto gli esempi di Abramo, Mosè, Elia, Giovanni il Battista, Paolo di Tarso e dello stesso Gesù, che “inaugura la vita pubblica attraverso l’esperienza della crisi vissuta nelle tentazioni” per poi passare a quella del Getsemani: tutto ciò, ha chiarito Francesco, perché a “volte le nostre analisi ecclesiali sembrano racconti senza speranza”, mentre quest’ultima riesce a mettere in luce “ciò che i nostri sguardi miopi sono incapaci di percepire”. Del resto, ha assicurato, “Dio continua a far crescere i semi del suo Regno”, come dimostrano i molti che “nella Curia danno testimonianza con il loro lavoro umile, discreto, silenzioso, leale, professionale, onesto. Anche il nostro tempo ha i suoi problemi, ma… il Signore non ha abbandonato il suo popolo”, sebbene poi “i problemi vanno a finire subito sui giornali, invece i segni di speranza fanno notizia dopo molto tempo, e non sempre”.
Approfondendo poi la seconda parola-chiave del discorso, ovvero quella del conflitto, il Papa ha osservato che la Chiesa se “letta” con le solite “categorie” – “destra e sinistra, progressisti e tradizionalisti” – finisce con il frammentare, polarizzare, pervertire e tradire la propria natura: “Essa è un Corpo perennemente in crisi proprio perché è vivo, ma non deve mai diventare un corpo in conflitto, con vincitori e vinti. Infatti, in questo modo diffonderà timore, diventerà più rigida, meno sinodale, e imporrà una logica uniforme e uniformante, lontana dalla ricchezza e pluralità che lo Spirito” le ha donato. E in proposito, ha avvertito il Pontefice, “tutte le resistenze che facciamo all’entrare in crisi lasciandoci condurre dallo Spirito nel tempo della prova ci condannano a rimanere soli e sterili”. Insomma, ha concluso, “sotto ogni crisi c’è sempre una giusta esigenza di aggiornamento. Ma se vogliamo davvero un aggiornamento”, occorrono “una disponibilità a tutto tondo” e un impegno a non “pensare alla riforma della Chiesa come a un rattoppo di un vestito vecchio, o alla semplice stesura di una nuova Costituzione Apostolica. La riforma della Chiesa è un’altra cosa”. E’ un impegno e uno sforzo affinché, nonostante i tanti problemi, “la nostra fragilità non diventi ostacolo all’annuncio del Vangelo”.
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Nel suo auspicio finale, Francesco ha osservato come “sarebbe bello se smettessimo di vivere in conflitto e tornassimo invece a sentirci in cammino”, giacché il conflitto “è un finto cammino, è un girovagare senza scopo e finalità, è rimanere nel labirinto” è uno “spreco di energie” che come “primo male” porta al “pettegolezzo”. Nel ringraziare ancora la Curia per il suo servizio, il Papa ha invitato a conservare la “piena consapevolezza” del fatto che “che tutti noi, io per primo, siamo solo ‘servi inutili’ ai quali il Signore ha usato misericordia”.
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