Sancta Sedes

Papa Francesco all’Angelus: chi segue Cristo non è schiavo di paure, ma testimone di speranza

Il Signore ci chiama a collaborare alla costruzione della storia diventando con Lui operatori di pace e testimoni di speranza nella salvezza e nella Risurrezione futura.

Papa Francesco all’Angelus di questa domenica rimarca la fede che i discepoli di Cristo devono avere nella sua infinita misericordia e nello sguardo di tenerezza con cui custodisce le vicende dell’umanità nel loro intrecci di bene e male

Gabriella Ceraso – Città del Vaticano

“Sarete traditi, odiati, uccisi.. ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto…Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”.  E’ il cuore del Vangelo di Luca che anima questa penultima domenica dell’anno liturgico e che racchiude il discorso di Gesù sulla “fine dei tempi”, col suo duplice volto: distruzione e rassicurazione. 

Papa Francesco lo riprende nella riflessione prima dell’Angelus, dopo averne parlato anche nell’omelia della Messa per la Giornata mondiale dei poveri in San Pietro, per sottolinere la chiamata di ciascuno a vivere le alterne vicende della storia forti della speranza in Dio e rispondendo, come hanno fatto i martiri, “all’odio con l’amore e all’offesa con il perdono”.

Il fine non la fine della storia

La “perseveranza” di cui parla l’evangelista è infatti per il Papa la speranza, è la fede in “Colui che conosce il fine ultimo delle cose” e che custodisce e guida la storia piegando le forze del male. Gesù si trova davanti all’imponente e splendido tempio di Gerusalemme e profetizza ai discepoli, che di tutta quella bellezza non resterà nulla. Ma questo, fa notare il Papa, non è tanto la fine

della storia quanto il fine, e lo si capisce dalle due immagini contrastanti che Gesù usa.

La prima è lo scenario catastrofico che segnerà la storia con guerre e calamità contro il creato e l’umanità; la seconda è la rassicurazione  “Nemmeno un capello del vostro caapo andrà perduto”,  che dice l’atteggiamento che il cristiano deve assumere nel vivere una storia simile:

È l’atteggiamento della speranza in Dio, che consente di non lasciarsi abbattere dai tragici eventi. Anzi, essi sono «occasione di dare testimonianza». I discepoli di Cristo non possono restare schiavi di paure e angosce; sono chiamati invece ad abitare la storia, ad arginare la forza distruttrice del male, con la certezza che ad accompagnare la sua azione di bene c’è sempre la provvida e rassicurante tenerezza del Signore.

Questo è il segno eloquente che il Regno di Dio viene a noi, cioè che si sta avvicinando la realizzazione del mondo come Dio lo vuole.

Dio custodisce l’umanità e ci chiama a collaborare

E’ il Signore dunque – rimarca il Papa – a condurre la nostra esistenza e a “conoscere il fine ultimo delle cose e degli eventi”. Da qui la chiamata che Francesco fa risuonare per tutti i cristiani, sull’esempio dei martiri: “collaborare alla costruzione della storia diventando anche noi operatori di pace e testimoni di speranza nella salvezza e nella risurrezione futura”

La fede ci fa camminare con Gesù sulle strade tante volte tortuose di questo mondo, nella certezza che la forza del suo Spirito piegherà le forze del male, sottoponendole al potere dell’amore di Dio. L’amore è superiore, l’amore è oltre – potente, ha la potenza, perchè è Dio. Dio è amore. Ci sono di esempio i martiri cristiani, i nostri martiri, i martiri cristiani anche dei nostri tempi, che sono più dei martiri del principio, i quali, nonostante le persecuzioni, sono uomini e donne di pace. Essi ci consegnano una eredità da custodire e imitare: il Vangelo dell’amore e della misericordia. Questo è il tesoro più prezioso che ci è stato donato e la testimonianza più efficace che possiamo dare ai nostri contemporanei, rispondendo all’odio con l’amore, all’offesa con il perdono.

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E questo può essere tradotto anche nella vita quotidiana, dice il Papa parlando a braccio. Il dolore che sentiamo – spiega- va vinto col perdono e anche quando ci sentiamo odiati dobbiamo pregare con amore per chi ci odia. Sia la Vergine Maria – è l’invocazione finale del Pontefice – a “sostenere il nostro cammino di fede quotidiano, alla sequela del Signore che guida la storia”.

Nelle parole al termine dell’Angelus poi, Papa Francesco saluta, sollecitando il lungo applauso dei fedeli presenti in Piazza San Pietro, la beatificazione avvenuta ieri in Ecuador, di Padre Emilio Moscoso, sacerdote martire gesuita, un “apostolo della preghiera” che può “sostenere il nostro cammino di fede e testimonianza cristiana”. Quindi torna sull’odierna Giornata Mondiale dei Poveri col pensiero rivolto a quanti nelle parrocchie del mondo hanno promosso eventi solidali e ai medici che in Piazza San Pietro al presidio sanitario si prestano alla cura dei più sofferenti:

Ringrazio per tante iniziative in favore della gente che soffre, dei bisognosi e questo deve testimoniare l’attenzione che non deve mai mancare nei confronti dei nostri fratelli e sorelle. Ho visto recentemente, pochi minuti fa, alcune statistiche di povertà: fanno soffrire. L’indifferenza della società verso i poveri … Preghiamo.

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Quindi ancora una volta, come anche mercoledì scorso all’udienza generale, raccomanda alle preghiere di tutti, il suo trentaduesimo viaggio apostolico, che da martedì prossimo lo porterà in Thailandia e Giappone.

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