Papa Francesco alla recita dell’Angelus, dopo tanto tempo, di nuovo affacciato alla finestra in Piazza San Pietro, con i pellegrini presenti in piazza San Pietro.
Commentando il Vangelo di questa domenica di Gesù che guarisce chinandosi verso la suocera di Pietro, ricorda che la Missione della Chiesa è quella lasciata da Gesù: vicinanza, tenerezza e compassione. Queste 3 caratteristiche sono lo stile di Dio – ha ricordato il Pontefice.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il Vangelo di oggi (cfr Mc1,29-39) presenta la guarigione, da parte di Gesù, della suocera di Pietro e poi di tanti altri malati e sofferenti che si stringono a Lui. Quella della suocera di Pietro è la prima guarigione di ordine fisico raccontata da Marco: la donna si trovava a letto con la febbre; nei suoi confronti, l’atteggiamento e il gesto di Gesù sono emblematici: «Si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano» (v. 31), annota l’Evangelista.
C’è tanta dolcezza in questo semplice atto, che sembra quasi naturale: «La febbre la lasciò ed ella li serviva» (ibid.). Il potere risanante di Gesù non incontra alcuna resistenza; e la persona guarita riprende la sua vita normale, pensando subito agli altri e non a sé stessa –e questo è significativo, è segno di vera “salute”!
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Quel giorno era un sabato. La gente del villaggio aspetta il tramonto e poi, finito l’obbligo del riposo, esce e porta da Gesù tutti i malati e gli indemoniati. E Lui li guarisce, ma vieta ai demoni di rivelare che è il Cristo (cfr vv. 32-34). Fin dall’inizio, dunque, Gesù mostra la sua predilezione per le persone sofferenti nel corpo e nello spirito: è la predilezione del Padre, che Lui incarna e manifesta con opere e parole. I suoi discepoli ne sono stati testimoni oculari. Ma Gesù non li ha voluti solo spettatori della sua missione: li ha coinvolti, li ha inviati
, ha dato anche a loro il potere di guarire i malati e scacciare i demoni (cfr Mt10,1; Mc6,7). E questo è proseguito senza interruzione nella vita della Chiesa, fino ad oggi.Prendersi cura dei malati di ogni genere non è per la Chiesa un’“attività opzionale”, qualcosa di accessorio, no, fa parte integrante della sua missione, come lo era di quella di Gesù: portare la tenerezza di Dio all’umanità sofferente.
Ce lo ricorderà tra pochi giorni, l’11 febbraio, la Giornata Mondiale del Malato. La realtà che stiamo vivendo in tutto il mondo a causa della pandemia rende particolarmente attuale questo messaggio. La voce di Giobbe, che risuona nella Liturgia odierna, ancora una volta si fa interprete della nostra condizione umana, così alta nella dignità e nello stesso tempo così fragile.
Di fronte a questa realtà, sempre sorge nel cuore la domanda: “perché?”. A questo interrogativo Gesù, Verbo Incarnato, risponde non con una spiegazione, ma con una presenza d’amore che si china, che prende per mano e fa rialzare, come ha fatto con la suocera di Pietro (cfr Mc1,31).
Il Figlio di Dio manifesta la sua Signoria non “dall’alto in basso”, non a distanza, ma nella vicinanza, nella tenerezza, nella compassione.
E il Vangelo di oggi ci ricorda anche che questa compassione affonda le radici nell’intima relazione con il Padre: prima dell’alba e dopo il tramonto, Gesù si appartava e rimaneva da solo a pregare (v. 35). Da lì attingeva la forza per compiere il suo ministero, predicando e operando guarigioni.
La Vergine Santa ci aiuti a lasciarci guarire da Gesù –ne abbiamo sempre bisogno, tutti –per poter essere a nostra volta testimoni della tenerezza risanatrice di Dio.
Le parole di Papa Francesco dopo la recita dell’Angelus di questa domenica
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