Io ho la disponibilità del discepolo? O mi comporto con la rigidità di chi si sente a posto, per bene, arrivato? E’ la domanda che pone Papa Francesco questa domenica durante il momento dedicato all’Angelus. Mi lascio “scardinare dentro” dal paradosso delle Beatitudini, o rimango nel perimetro delle mie idee? E poi, al di là delle fatiche e delle difficoltà, sento la gioia di seguire Gesù? Questo è il tratto saliente del discepolo: la gioia del cuore.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Al centro del Vangelo della Liturgia odierna ci sono le Beatitudini (cfr Lc 6,20-23). È interessante notare che Gesù, pur essendo attorniato da una grande folla, le proclama rivolgendosi «verso i suoi discepoli» (v. 20). Le Beatitudini, infatti, definiscono l’identità del discepolo di Gesù. Esse possono suonare strane, quasi incomprensibili a chi non è discepolo; mentre, se ci chiediamo come è un discepolo di Gesù, la risposta sono proprio le Beatitudini. Vediamo la prima, che è la base di tutte le altre: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio» (v. 20).
Beati voi, poveri. Due cose dice Gesù dei suoi: che sono beati e poveri; che sono beati perché poveri. In che senso? Nel senso che il discepolo di Gesù non trova la sua gioia nel denaro, nel potere, o in altri beni materiali, ma nei doni che riceve ogni giorno da Dio: la vita, il creato, i fratelli e le sorelle, e così via.
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Anche i beni che possiede, è contento di condividerli, perché vive nella logica di Dio che è la gratuità. Questa povertà è anche un atteggiamento verso il senso della vita: il discepolo di Gesù non pensa di possederlo, di sapere già tutto, ma sa di dover imparare ogni giorno. Perciò è una persona umile, aperta, aliena da pregiudizi e rigidità. C’era un bell’esempio nel Vangelo di domenica scorsa: Simon Pietro, esperto pescatore, accoglie l’invito di Gesù a gettare le reti in un’ora insolita; e poi, pieno di stupore per la pesca prodigiosa, lascia la barca e tutti i suoi beni per seguire il Signore. Pietro si dimostra docile lasciando tutto, e così diventa discepolo. Invece, chi è troppo attaccato alle proprie idee e alle proprie sicurezze, difficilmente segue davvero Gesù.
E così cade nella tristezza. Diventa triste perché i conti non gli tornano, perché la realtà sfugge ai suoi schemi mentali e si trova insoddisfatto. Il discepolo, invece, sa mettersi in discussione, sa cercare Dio umilmente ogni giorno, e questo gli permette di addentrarsi nella realtà, cogliendone la ricchezza e la complessità.
Il discepolo, in altre parole, accetta il paradosso delle Beatitudini: esse dichiarano che è beato, cioè felice, chi è povero, chi manca di tante cose e lo riconosce. Umanamente, siamo portati a pensare in un altro modo: è felice chi è ricco, chi è sazio di beni, chi riceve applausi ed è invidiato da molti.
Gesù, al contrario, dichiara fallimentare il successo mondano, in quanto si regge su un egoismo che gonfia e poi lascia il vuoto nel cuore. Davanti al paradosso delle Beatitudini il discepolo si lascia mettere in crisi, consapevole che non è Dio a dover entrare nelle nostre logiche, ma noi nelle sue. Questo richiede un cammino, a volte faticoso, ma sempre accompagnato dalla gioia. Perché, ricordiamoci, la prima parola di Gesù è: beati. È questo il sinonimo dell’essere discepoli di Gesù. Il Signore, liberandoci dalla schiavitù dell’egocentrismo, scardina le nostre chiusure, scioglie la nostra durezza, e ci dischiude la felicità vera, che spesso si trova dove noi non pensiamo.
Possiamo allora chiederci: io ho la disponibilità del discepolo? O mi comporto con la rigidità di chi si sente a posto, per bene, arrivato? Mi lascio “scardinare dentro” dal paradosso delle Beatitudini, o rimango nel perimetro delle mie idee? E poi, al di là delle fatiche e delle difficoltà, sento la gioia di seguire Gesù? Questo è il tratto saliente del discepolo: la gioia del cuore.
La Madonna, prima discepola del Signore, ci aiuti a vivere come discepoli aperti e gioiosi.
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