Sì, cari fratelli e sorelle, l’ingratitudine genera violenza, mentre un semplice “grazie” può riportare la pace! Lo ha ricordato Papa Francesco questa domenica prima della preghiera mariana dell’Angelus in una piazza San Pietro gremita di fedeli.
Chiediamoci allora ha proseguito Francesco: io mi rendo conto di aver ricevuto in dono la vita e la fede, e di essere io stesso, io stessa, un dono di Dio? Credo che tutto comincia dalla grazia del Signore? Comprendo di esserne beneficiario senza meriti, amato e salvato gratuitamente? E soprattutto, in risposta alla grazia, so dire “grazie”?
Al termine della preghiera mariana Francesco ha espresso dolore per il conflitto in corso tra Israele e Palestina.
Esprimo vicinanze alle famiglie delle vittime della violenza in Israele. Si fermino gli attacchi armati.
Terrorismo e guerra non portano a soluzioni. La guerra è una sconfitta per tutti, ribasce il Pontefice.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi il Vangelo ci presenta una parabola drammatica, con un epilogo triste (cfr Mt 21,33-43). Il padrone di un terreno vi ha piantato una vigna e l’ha ben curata; poi, dovendo partire, la affida a dei contadini. Al momento della vendemmia, manda i suoi servi a ritirare il raccolto. Ma i contadini li maltrattano e li uccidono; allora il padrone manda suo figlio, e quelli uccidono perfino lui. Come mai? Che cosa è andato storto?
Il padrone fa tutto bene, con amore: fatica in prima persona, pianta la vigna, la circonda con una siepe per proteggerla, scava una buca per il torchio e costruisce una torre di guardia (cfr v. 33). Poi affida la vigna a degli agricoltori, dando loro in affitto il suo bene prezioso e trattandoli perciò in modo equo, perché la vigna sia ben coltivata e porti frutto. Date le premesse, la vendemmia dovrebbe concludersi felicemente, in un clima di festa, con una giusta condivisione del raccolto per la soddisfazione di tutti.
Invece, nella mente dei contadini si sono insinuati pensieri ingrati e avidi: “Non abbiamo bisogno di dare nulla al padrone. Il prodotto del nostro lavoro è solo nostro. Non dobbiamo rendere conto a nessuno!”.
E questo non è vero: dovrebbero essere riconoscenti per quanto hanno ricevuto e per come sono stati trattati.
Invece l’ingratitudine alimenta l’avidità e cresce in loro un progressivo senso di ribellione, che li porta a vedere la realtà in modo distorto, a sentirsi in credito anziché in debito con il padrone che aveva dato loro da lavorare. Quando vedono il figlio arrivano addirittura a dire: «Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!» (v. 38). E da agricoltori diventano assassini.
Con questa parabola, Gesù ci ricorda cosa succede quando l’uomo si illude di farsi da sé e dimentica la gratitudine, dimentica la realtà fondamentale della vita: che il bene viene dalla grazia di Dio, dal suo dono gratuito. Quando si scorda questo, si finisce col vivere la propria condizione e il proprio limite non più con la gioia di sentirsi amati e salvati, ma con la triste illusione di non aver bisogno né di amore, né di salvezza. Si smette di lasciarsi voler bene e ci si ritrova prigionieri della propria avidità, del bisogno di avere qualcosa in più degli altri, del voler emergere sugli altri.
Da qui provengono tante insoddisfazioni e recriminazioni, tante incomprensioni e invidie; e, spinti dal rancore, si può precipitare nel vortice della violenza.
Sì, cari fratelli e sorelle, l’ingratitudine genera violenza, mentre un semplice “grazie” può riportare la pace!
Chiediamoci allora: io mi rendo conto di aver ricevuto in dono la vita e la fede, e di essere io stesso, io stessa, un dono di Dio? Credo che tutto comincia dalla grazia del Signore? Comprendo di esserne beneficiario senza meriti, amato e salvato gratuitamente? E soprattutto, in risposta alla grazia, so dire “grazie”?
È una piccola parola, attesa ogni giorno da Dio e dai fratelli. Domandiamoci se questa piccola parola, “grazie”, è presente nella nostra vita.
Ci aiuti Maria, la cui anima magnifica il Signore, a fare della gratitudine la luce che sorge ogni giorno dal cuore.
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