Commentando l’odierno brano evangelico di Luca, Francesco esorta quanti hanno responsabilità educative o di comando a compiere un “sano discernimento”, prima di ogni scelta e azione. Poi ricorda: la “mormorazione” distrugge famiglia, scuola, posto di lavoro
Un invito a compiere un sano discernimento, prima di ogni scelta e di ogni azione. Lo ha lanciato il Papa all’Angelus domenicale in Piazza San Pietro, riflettendo sull’odierno brano evangelico di Luca che presenta brevi parabole, con le quali Gesù vuole indicare ai discepoli “la strada da percorrere per vivere con saggezza”.
Ponendo l’interrogativo: “Può forse un cieco guidare un altro cieco?”, Gesù – spiega Francesco – “vuole sottolineare che una guida non può essere cieca, ma deve vedere bene, cioè deve possedere la saggezza, per guidare con saggezza, altrimenti rischia di causare dei danni alle persone che a lei si affidano”.
Gesù richiama così l’attenzione di quanti hanno responsabilità educative o di comando: i pastori d’anime, le autorità pubbliche, i legislatori, i maestri, i genitori, esortandoli ad essere consapevoli del loro ruolo delicato e a discernere sempre la strada giusta sulla quale condurre le persone.
Per indicare “se stesso come modello di maestro e guida da seguire”, Gesù sottolinea: “Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro”.
È un invito a seguire il suo esempio e il suo insegnamento per essere guide sicure e sagge. E tale insegnamento è racchiuso soprattutto nel discorso della montagna, che da tre domeniche la liturgia ci propone nel Vangelo, indicando l’atteggiamento della mitezza e della misericordia per essere persone sincere, umili e giuste.
C’è poi un’altra “frase significativa” nel Vangelo di oggi, mette in risalto il Papa, che esorta a “non essere presuntuosi e ipocriti”: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?”.
Tante volte, lo sappiamo tutti, è più facile o comodo scorgere e condannare i difetti e i peccati altrui, senza riuscire a vedere i propri con altrettanta lucidità. Noi sempre nascondiamo i nostri difetti, li nascondiamo anche a noi stessi; invece, è facile vedere i difetti altrui. La tentazione è quella di essere indulgenti con se stessi – manica larga con se stessi e anche duri e condannare gli altri. È sempre utile aiutare il prossimo con saggi consigli, ma mentre osserviamo e correggiamo i difetti del nostro prossimo, dobbiamo essere consapevoli anche noi di avere dei difetti. Se io credo di non averne, non posso condannare o correggere gli altri. Tutti abbiamo difetti: tutti. E dobbiamo essere consapevoli, e prima di condannare gli altri dobbiamo guardare noi stessi dentro. In questo modo, possiamo agire in modo credibile, con umiltà, testimoniando la carità.
Il Papa esorta a capire “se il nostro occhio è libero o se è impedito da una trave”. Gesù dice: “Non vi è albero buono che produca frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto”.
Il frutto sono le azioni, ma anche le parole. Anche dalle parole si conosce la qualità dell’albero. Infatti, chi è buono trae fuori dal suo cuore e dalla sua bocca il bene e chi è cattivo trae fuori il male, praticando l’esercizio più deleterio fra noi, che è la mormorazione, il chiacchiericcio, parlare male degli altri: questo distrugge. Distrugge la famiglia, distrugge la scuola, distrugge il posto di lavoro, distrugge il quartiere. Dalla lingua incominciano le guerre.
Francesco ribadisce l’insegnamento di Gesù e auspica per tutti un esame di coscienza, chiedendoci se si parli “male degli altri”, cercando di “sporcare” il prossimo: “farà bene” cercare di “correggere almeno un po’” i nostri difetti. Nei saluti finali il Pontefice incoraggia i tanti fedeli presenti, tra cui rappresentanti di parrocchie, seminari, tanti ragazzi della Cresima e alunni delle scuole, a “camminare con gioia, con generosità, testimoniando ovunque la bontà e la misericordia del Signore”.
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