Un grande mosaico con tante tessere gialle e blu, colori delle uniformi delle Misericordie e altrettante bianche e rosse, binomio cromatico delle divise dei gruppi donatori di sangue “Fratres”. Appariva così oggi Piazza San Pietro agli occhi di Papa Francesco che ha voluto rendere omaggio, con questo incontro festoso, ai 770 anni di storia delle Misericordie d’Italia. Una storia di servizio che – come dimostravano i tanti stendardi e gonfaloni presenti in Piazza – ha attraversato i secoli e si è radicato nel territorio, in ogni contrada del Paese. Un’esperienza che, proprio il 14 giugno di 28 anni fa, San Giovanni Paolo II definiva testimonianza della “cultura della carità”. Di qui ha come ripreso il filo Papa Francesco, che ha aperto il suo intervento soffermandosi sulla radice del nome “misericordia”:
“Tutto il vostro servizio prende senso e forma da questa parola:misericordia, parola latina il cui significato etimologico è miseris cor dare, “dare il cuore ai miseri”, quelli che hanno bisogno, quelli che soffrono. È quello che ha fatto Gesù: ha spalancato il suo Cuore alla miseria dell’uomo. Il Vangelo è ricco di episodi che presentano la misericordia di Gesù, la gratuità del suo amore per i sofferenti e i deboli”.
Dai racconti evangelici, ha osservato, “possiamo cogliere la vicinanza, la bontà, la tenerezza con cui Gesù accostava le persone sofferenti e le consolava”. E questo, ha soggiunto, è un esempio da seguire. “Anche noi – ha detto – siamo chiamati a farci vicini, a condividere la condizione delle persone che incontriamo”. Le “nostre parole, i nostri gesti, i nostri atteggiamenti”, ha ribadito, devono esprimere “la solidarietà, la volontà di non rimanere estranei al dolore degli altri, e questo con calore fraterno e senza cadere in alcuna forma di paternalismo”. Il Papa ha quindi denunciato il “rischio di essere spettatori informatissimi e disincarnati” della povertà, “oppure di fare dei bei discorsi che si concludono con soluzioni verbali e un disimpegno rispetto ai problemi reali”:
“Troppe parole, troppe parole, troppe parole, ma non si fa niente! Questo è un rischio! Non è il vostro, voi lavorate, lavorate bene, bene! Ma c’è il rischio… Quando io sento alcune conversazioni tra persone che conoscono le statistiche: ‘Che barbarie, Padre! Che barbarie, che barbarie!’. ‘Ma cosa fai tu per questa barbarie?’ ‘Niente! Parlo!’. E questo non rimedia niente! Di parole ne abbiamo sentite tante! Quello che serve è l’operare, l’operato vostro, la testimonianza cristiana, andare dai sofferenti, avvicinarsi come Gesù ha fatto”.
Gesù, ha ripreso, “va per le strade e non ha pianificato né i poveri, né i malati, né gli invalidi che incrocia lungo il cammino”. E tuttavia, ha annotato, “con il primo che incontra si ferma, diventando presenza che soccorre, segno della vicinanza di Dio che è bontà, provvidenza e amore”:
“L’attività delle vostre associazioni si ispira alle sette opere di misericordia corporale, che mi piace richiamare, perché farà bene sentirle un’altra volta: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti. Vi incoraggio a portare avanti con gioia la vostra azione e a modellarla su quella di Cristo, lasciando che tutti i sofferenti possano incontrarvi e contare su di voi nel momento del bisogno.
Papa Francesco ha dunque concluso il suo discorso esortando le “Misericordie” e i gruppi “Fratres” a essere sempre “luoghi di accoglienza e di gratuità, nel segno dell’autentico amore misericordioso per ogni persona”. Il servizio è di Alessandro Gisotti per la Radio Vaticana
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