Barbara Castelli – Città del Vaticano
“La vita di clausura non imprigiona né restringe il cuore, ma piuttosto lo allarga grazie alla relazione con il Signore”; le religiose con un cuore ristretto, le collezioniste di ingiustizie tornino a far respirare il proprio cuore e tornino a essere madri. Papa Francesco, nell’omelia, condivide questa riflessione con le religiose peruviane di vita contemplativa che incontra nel Santuario del Señor de los Milagros per la preghiera dell’Ora Media. Il luogo sacro, gestito dalle Madri Nazarene Carmelitane Scalze, è, insieme con il Monastero, un complesso religioso situato nel centro storico di Lima ed è dedicato al culto del Patrono del Perù, il Signore dei Miracoli. Il dipinto su muro del XVII secolo, raffigurante la Crocefissione di Cristo, è rimasto illeso al devastante sisma del 1655, che rase al suolo gran parte degli edifici della capitale.
Parlando a braccio, il Pontefice riconosce che non mancano le religiose con un “cuore ristretto”, quelle che hanno perso la fecondità, che non sono più madri e si lamentano di tutto. A queste “collezioniste di ingiustizie” chiede di trovare una soluzione per la durezza e l’amarezza che sperimentano, permettendo al cuore di tornare a respirare, perché nel convento c’è posto per le religiose che aprono il cuore e sanno portare la croce, la croce feconda, la croce dell’amore, la croce che dà la vita. Sempre abbandonando momentaneamente il discorso previsto, Papa Francesco torna anche a parlare delle chiacchiere, alimentate dall’opera del diavolo. A tutte chiede di non fare le “terroriste”, parlando male alle spalle delle persone, e ricorda che è meglio “mordersi la lingua”.
Dopo il saluto della Madre Superiora delle Carmelitane scalze del Santuario, Madre Soledad, Papa Bergoglio si sofferma sulla gioia del sapersi figli di Dio, un’esperienza che sostiene “la nostra vita, la quale vuole essere sempre una risposta grata a quell’amore”. Una relazione stretta con il Signore, alimentata dalla preghiera costante, permette di dilatare il proprio cuore, sentendo “in modo nuovo il dolore, la sofferenza, la frustrazione, la sventura di tanti fratelli che sono vittime” della “cultura dello scarto” del nostro tempo. Di qui l’invito a intercedere per i bisognosi non solo attraverso l’orazione, “ma anche con il servizio concreto”.
La preghiera deve essere anzitutto missionaria, come rimarcato anche dalla Madre Superiora, perché in questo modo si può far sperimentare “amore e speranza” a quanti si trovano nella sofferenza: “carcerati, migranti, rifugiati e perseguitati”, le “tante famiglie ferite”, “le persone senza lavoro”, “i poveri”, “i malati”, “le vittime delle dipendenze”. Una preghiera che può arrivare a essere audace, con la “faccia tosta” di chiedere che la miseria degli uomini si avvicini alla potenza di Dio, certi che la preghiera non rimbalza contro il muro del convento e torna indietro, ma “esce e continua ad andare”.
Nell’omelia, il Pontefice chiede anche di pregare per l’unità della Chiesa, “oggi e sempre”. Il mondo infatti ha bisogno di vedere incarnato l’amore di Cristo, un amore che nella vita della Sua Sposa deve essere declinato attraverso la fede, la speranza, la carità. “Impegnatevi nella vita fraterna – conclude – facendo in modo che ogni monastero sia un faro che possa fare luce in mezzo alla disunione e alla divisione”.
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