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Papa Francesco all’udienza generale: ‘Il mondo vive e prospera grazie alla benedizione del giusto’

L’udienza generale di Papa Francesco – 17 Giugno

Pregare per le persone, nonostante le loro mancanze o la loro lontananza da Dio. Questo è il forte invito che Papa Francesco rivolge stamani nella catechesi dell’udienza generale, svoltasi sempre dalla Biblioteca del Palazzo Apostolico.

Proseguendo le catechesi sulla preghiera, dopo la figura di Giacobbe, la scorsa settimana, oggi è la volta di Mosè, con particolare riferimento all’episodio del vitello di metallo fuso, composto con i pendenti d’oro quando Mosè tardava a scendere dal Sinai. Tanto amico di Dio da potergli parlare “faccia a faccia”, non fu un condottiero dispotico ma mansueto e e “resterà tanto amico degli uomini da provare misericordia per i loro peccati, per le loro tentazioni, per le improvvise nostalgie che gli esuli rivolgono al passato, ripensando a quando erano in Egitto”.

Nostro intercessore, è stato “il più grande profeta di Gesù”, che “è il pontifex, è il ponte fra noi e il Padre. E Gesù intercede per noi, fa vedere al Padre le piaghe che sono il prezzo della nostra salvezza e intercede

”. Mosè quindi ci sprona a intercedere per il mondo pregare con il medesimo ardore di Gesù.

Tutti appartengono a Dio. I più brutti peccatori, la gente più malvagia, i dirigenti più corrotti, sono figli di Dio e Gesù sente questo e intercede per tutti. E il mondo vive e prospera grazie alla benedizione del giusto, alla preghiera di pietà, a questa preghiera di pietà, il santo, il giusto, l’intercessore, il sacerdote, il vescovo, il Papa, il laico, qualsiasi battezzato, eleva incessante per gli uomini, in ogni luogo e in ogni tempo della storia. Pensiamo a Mosè, l’intercessore. E quando ci viene voglia di condannare qualcuno e ci arrabbiamo dentro … Ma arrabbiarsi fa bene, eh! -è un po’ di salute -, ma condannare non fa bene. Tu ti arrabbi e cosa devi fare? Vai a intercedere per quello.

È l’intercessione infatti il modo di pregare di Mosè, rimarca il Papa, con il senso di paternità che nutre per la sua gente. La Scrittura lo raffigura abitualmente con le mani tese verso l’alto, “quasi da far ponte con la sua stessa persona fra cielo e terra” e anche quando il popolo “ripudia Dio e lui stesso come guida per farsi un vitello d’oro” Mosè chiede a Dio di perdonare il loro peccato: “Non rinnega Dio né il popolo”, “non negozia il popolo”, evidenzia ancora il Papa:

Non vende la sua gente per far carriera. Non è un arrampicatore, è un intercessore: per la sua gente, per la sua carne, per la sua storia, per il suo popolo e per Dio che lo ha chiamato. È il ponte. Che bell’esempio per tutti i pastori che devono essere “ponte”. Per questo, li si chiama pontifex, ponti. I pastori sono dei ponti fra il popolo al quale appartengono e Dio, al quale appartengono per vocazione. Così è Mosè. “Perdona Signore il loro peccato, altrimenti se Tu non perdoni, cancellami dal tuo libro che hai scritto. Non voglio fare carriera con il mio popolo”.

Questa deve essere la preghiera dei credenti che “anche se sperimentano le mancanze delle persone e la loro lontananza da Dio”, non le condannano. L’atteggiamento dell’intercessione è proprio dei santi, che, ad imitazione di Gesù, sono ‘ponti’ tra Dio e il suo popolo, sottolinea.

Papa Francesco

Nella catechesi il Papa ripercorre tutta la vicenda di Mosè che non è stato un orante facile o fiacco. Quando Dio lo chiama era umanamente “un fallito” che da “promettente funzionario” destinato a una carriera rapida si era giocato le opportunità e ora pascolava un gregge non suo nel deserto di Madian. Da giovane aveva infatti provato pietà per la sua gente e si era schierato in favore degli oppressi ma dalle sue mani non era sgorgato giustizia, ma violenza. Mosè aveva ucciso un egiziano che percuoteva un ebreo ed era dovuto fuggire. Così “aveva visto frantumarsi i sogni di gloria”. Ma è proprio nel silenzio del deserto, che Dio convoca Mosè, con il roveto ardente, quando si rivela come “Il Dio di tuo padre, di Abramo…”. A Dio che lo invita a prendersi nuovamente cura del suo popolo, Mosè oppone “paure e obiezioni”: che non è degno, che balbetta. E rivolge a Dio molti “perché” sulla sua missione. C’è addirittura nel Pentateuco “un passaggio drammatico”, nota il papa, quando Dio rinfaccia a Mosè la sua mancanza di fiducia, che “gli impedirà l’ingresso nella terra promessa.

Ma è proprio per la sua debolezza, oltre che per la sua forza, che rimaniamo colpiti. Lui “fondatore del culto divino” non cesserà di “intrattenere stretti legami di solidarietà con il suo popolo, specialmente nell’ora della tentazione e del peccato”.

Sempre attaccato al popolo. Mosè mai ha perso la memoria del suo popolo. E questa è una grandezza dei pastori: non dimenticare il popolo, non dimenticare le radici. E come Paolo dice al suo amato, giovane vescovo Timoteo: “Ricordati di tua mamma e di tua nonna, delle tue radici, del tuo popolo”.

Non smettere, quindi, di “appartenere a quella schiera di poveri in spirito che vivono facendo della fiducia in Dio il viatico del loro cammino”.

Debora Donnini – Vatican News

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