Una civiltà che non ha al suo interno un posto per gli anziani “porta con sé il virus della morte”. Papa Francesco ha preso nuovamente le difese della terza età, contro la cultura dello scarto, durante la catechesi dell’udienza generale in Piazza San Pietro. Parlando dei nonni, il Papa ha messo in risalto in questa occasione i deficit di solidarietà che si riscontrano oggi verso gli anziani, rinviando a una successiva catechesi la descrizione dei valori di questa stagione della vita.
Diventare vecchi e quindi sfrattati dalla “società dell’efficienza”, che non sa che farsene dei tempi lenti di un anziano e dei suoi bisogni. Essere vecchi e spesso malati e diventare in famiglia più che qualcuno da amare, qualcuno cui “badare”.
Francesco si lancia con determinazione in un tema che fa parte del suo magistero più sentito. Affronta uno dei cortocircuiti del progresso umano, che allunga la vita ma non sempre offre il modo di custodirla e rispettarla quando essa si fa più fragile. E che spesso volta le spalle agli anziani, i quali invece – afferma – “sono una ricchezza”, anzi “la riserva sapienziale del nostro popolo” – e quindi “non si possono ignorare”.
“In una civiltà c’è attenzione all’anziano? C’è posto per l’anziano? Questa civiltà andrà avanti se saprà rispettare la saggezza, la sapienza degli anziani. In una civiltà in cui non c’è posto per gli anziani o sono scartati perché creano problemi, questa società porta con sé il virus della morte”.
Scartare i deboli
Il vecchio – questa “zavorra” che non produce e che dunque deve scontare il suo essere un “peso” – è davvero qualcosa di indigesto per Papa Francesco, che usa parole durissime contro l’indegna attitudine che costringe gli anziani, dice, “a sopravvivere in una civiltà che non permette loro di partecipare, di dire la propria”:
“C’è qualcosa di vile in questa assuefazione alla cultura dello scarto. Ma noi siamo abituati a scartare gente. Vogliamo rimuovere la nostra accresciuta paura della debolezza e della vulnerabilità; ma così facendo aumentiamo negli anziani l’angoscia di essere mal sopportati e abbandonati”.
Il peccato dell’abbandono
Il deficit è tutto nel cuore delle singole famiglie e della società nel suo insieme nel modo che hanno di considerare la vecchiaia. Cioè, all’inverso, nella capacità – sostiene Francesco – di dimostrare “prossimità” verso gli anziani, un “affetto senza contropartita”. Perché quando non c’è amore, esclama, “con quanta facilità si mette a dormire la coscienza”:
“Io ricordo, quando visitavo le case di riposo, parlavo con ognuno e tante volte ho sentito questo: ‘Come sta lei? E i suoi figli?’. ‘Bene, bene’. ‘Quanti ne ha?’. ‘Tanti’. ‘E vengono a visitarla?’. ‘Sì, sì, sempre, sì, vengono’. ‘Quando sono venuti l’ultima volta?’. Ricordo un’anziana che mi diceva: ‘Mah, per Natale’. Eravamo in agosto! Otto mesi senza essere visitati dai figli, otto mesi abbandonata! Questo si chiama peccato mortale, capito?”.
“L’anziano siamo noi”
Francesco ricorda, tra gli applausi della folla, quando Papa Benedetto affermò che la “qualità” di una civiltà “si giudica anche da come gli anziani sono trattati”. E conclude chiamando in causa i cristiani, ricordando che “gli anziani sono uomini e donne, padri e madri che sono stati prima di noi sulla nostra stessa strada, nella nostra stessa casa, nella nostra quotidiana battaglia per una vita degna”:
“La Chiesa non può e non vuole conformarsi ad una mentalità di insofferenza, e tanto meno di indifferenza e di disprezzo, nei confronti della vecchiaia. Dobbiamo risvegliare il senso collettivo di gratitudine, di apprezzamento, di ospitalità, che facciano sentire l’anziano parte viva della sua comunità (…) L’anziano non è un alieno. L’anziano siamo noi: fra poco, fra molto, inevitabilmente comunque, anche se non ci pensiamo. E se noi non impariamo a trattare bene gli anziani, così tratteranno a noi”.
Cristo, sole in un tempo di ombre
Saluti del Papa sono andati, fra gli altri, ai docenti e agli studenti della Pontificia Università Salesiana che ricordano il bicentenario della nascita di San Giovanni Bosco. Francesco ha poi concluso con una sorta di preghiera spontanea rivolta a tutti:
“Cari amici, il nostro tempo, segnato da tante ombre, sia sempre illuminato dal sole della speranza, che è Cristo. Egli ha promesso di restare sempre con noi e in molti modi manifesta la sua presenza. A noi il compito di annunciare e testimoniare il suo amore che ci accompagna in ogni situazione. Non stancatevi, pertanto, di affidarvi a Cristo e di diffondere il suo Vangelo in ogni ambiente”.
Il servizio è di Alessandro De Carolis perla Radio Vaticana
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